Ancora non l’abbiamo sentito, né visto, tranne i soliti slogan su cui però, se si accende la riflessione, si scoprono tendenze e progetti anche dannosi per la scuola, proprio perché da alcune parti degli schieramenti politi si parla troppo di tagli alla spesa pubblica all’interno della quale ci sono perfino i fondi per l’istruzione.
La paura è dunque sempre quella: che si posa ritornare, dopo le ubriacature delle promesse, ai tagli lineari che nell’ultimo lustro hanno visto colpito in modo particolare il mondo della scuola, sia sottraendo risorse alle singole istituzioni, e sia ai suoi operatori, a cominciare dal blocco degli scatti settennali, al mancato rinnovo del contratto di lavoro coi benefici economici previsti ogni due anni, all’allungamento dell’età pensionabile che non ha tenuto conto della specificità dei docenti, al mancato equiparamento delle pensioni all’inflazione, mentre ore di insegnamento e cattedre sono state falcidiate sull’altare di una riforma epocale tendente solo a creare, per un verso classi pollaio, e per l’altro a ridurre posti di lavoro a tutto danno della formazione dei giovani.
Se poi si dovesse implementare, così come è stato proposto forse con animo leggero, di diplomare i ragazzi a 18 anni, come avviene in molte parti d’Europa, ma anticipando l’ingresso a scuola di un anno, significherebbe pure che già un ragazzo a 12 anni, subito dopo cioè la terza media, potrebbe essere avviato al lavoro, mortificandone lo sviluppo futuro e le potenzialità ancora tutte da esprimere, mentre l’adolescenza, per forse troppi ragazzi, si immolerebbe sul banco di qualche officina o su quell’altro del lavoro nero.
Macinate dalle draghe delle proposte economiche, che sono certamente importanti, non si sta facendo caso alle proposte per realizzare pienamente la persona, sia in rapporto alle sue legittime aspettative di cittadinanza e di sviluppo economico e sociale, e sia in ordine alla crescita delle totalità delle sue doti intellettuali e creative che solo una istruzione seria, con un conoscenza motivata, consapevole, alta può consentire, nell’ottica di formare una società di uomini liberi, responsabili e felici.
Di contro tuttavia assistiamo a una sorta di arretratezza organica che però non pare preoccupare moltissimo, se si pensa che all’analfabetismo strutturale si aggiunge l’analfabetismo di ritorno, mentre rispetto all’europea la diffusione e l’uso di internet è scadente, l’abbandono scolastico ha raggiunto livelli oltre ogni possibile allarme (che fanno, dove vanno, chi frequentano, come trascorrono il tempo i ragazzi che lasciano le aule?) e il numero di iscrizioni all’università diminuisce in modo costante, ma cresce la precarietà tra i neolaureati.
Nei programmi di alcuni partiti in lizza per governare questa ormai dimenticata, e dimentica, Nazione, si dice di aprire le scuole nel pomeriggio fino a sera, per diventare centro di aggregazione dei giovani e nella quale possono sperimentare e ricercare, coi docenti e con volontari, nuove vie alla loro creatività e alla loro fantasia, altrimenti costrette o per la strada o nella solitudine o in qualche officina o negli anfratti del malaffare; e che è sembrata una scoperta dell’ultima ora o dell’ultimo decennio, visto che la propose all’epoca l’ex ministro Luigi Berlinguer, senza però fare caso o riferimento a Giovanni Bosco che già alla fine dell’800 aveva “inventato” gli oratori e senza grandi e raffinati studi che glielo potessero suggerire e senza cercare consensi per essere eletto Santo. E anche questa è la perplessità: ai nostri politici basta essere eletti al parlamento, per il resto chi sopravvive la racconta e a modo suo.
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