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Il ruolo della scuola nel secondo Rapporto sulla coesione sociale

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con l’Inps e l’Istat il 13 febbraio scorso ha presentato il secondo “Rapporto sulla Coesione Sociale”, una guida ai principali indicatori utili a rappresentare la situazione nel nostro Paese e la sua collocazione in ambito europeo.

 
L’obiettivo dell’indagine è quello di fornire le indicazioni basilari per conoscere le situazioni economiche e sociali sulle quali intervenire per migliorare le condizioni di vita delle persone.
Non poteva mancare uno sguardo anche al nostro sistema d’istruzione e alle opportunità offerte in ambito lavorativo.
Con riferimento, in particolare, alle competenze, i dati sono tratti dall’indagine internazionale “Pisa”, dedicata a rilevare i livelli di competenza degli studenti in alcune discipline chiave.
Per quanto riguarda la “lettura”, nel Nord Ovest (511) e nel Nord Est (504) si rileva una media dei punteggi significativamente superiore a quella Ocse (496,4) e a quella dell’Italia (486,1). I risultati medi delle regioni del Centro (488) sono invece in linea con le performance nazionali, mentre significativamente al di sotto della media italiana si posizionano invece le regioni del Sud (468) e delle Isole (456). Invece, i punteggi medi di tutte le regioni meridionali, con l’eccezione dell’Abruzzo (480) e soprattutto della Puglia (489), sono significativamente al di sotto della media nazionale.
In relazione alle competenze in merito alla “matematica”, l’Italia con una media dei punteggi pari a 482,9 si colloca al di sotto della media Ocse (499,4) anche se rispetto al 2003 le competenze medie degli studenti italiani risultano in netta crescita (+17 punti). Anche in questo caso sono evidenti le differenze regionali: meglio al Nord, male al Centro e ancor peggio al Sud e nelle isole.
E non va meglio per le competenze in scienze, dove l’Italia, con un punteggio medio di 489, si colloca molto al di sotto della media Ocse (501).
 
Transizione verso il mercato del lavoro
Guardando alle persone tra i 15 ed i 34 non più in istruzione (circa 9 milioni e trecentomila persone), tra questi il 24% ha meno di 24 anni ed il 48% sono donne. I principali canali di ingresso nel mercato del lavoro utilizzati da chi non è più in istruzione sono essenzialmente di tipo “familiare”: oltre il 55%, infatti, indica amici, conoscenti e parenti e solo l’1,5% ha utilizzato i Servizi pubblici per l’ impiego come canale di transizione.
I giovani Neet (Not in Education, Employment or Training) sono circa 2,1 milioni di cui 938 mila maschi 1,17 milioni di femmine. Il 38 % ha un età compresa tra i 20 ed il 24 anni (800 mila giovani) ed il 14 % è di nazionalità straniera. Il 46% ha al più la licenza media, il 34% sono disoccupati ed il 30% sono inattivi scoraggiati.
Fra i laureati tra i 30 ed i 34 anni, pari al 19 % della popolazione appartenente alla stessa classe di età, il 24% sono donne che si confermano dunque decisamente più scolarizzate degli uomini.
Tra i 18 ed i 24 anni sono circa 800 mila coloro che non partecipano ad alcuna attività di formazione, di cui 355 mila occupati e 150 mila disoccupati. Decisamente molto elevato il fenomeno dell’abbandono prematuro degli studi che interessa circa 800 mila giovani tra i 18 ed i 24 anni pari al 18% del totale.
Decisamente diffuso è anche il fenomeno dei ritardi nei cicli di istruzione post obbligo. I ripetenti al primo anno delle scuole secondarie superiori sono infatti il 9,8% ed il 7,8%.
L’incidenza maggiore si rileva negli istituti professionali (rispettivamente il 10,7% ed il 14,6%) mentre è decisamente più bassa nei Licei.
Problematica è la transizione al lavoro dei diplomati. Tra coloro che hanno completato il ciclo secondario con un diploma nel 2004 a tre anni di distanza (2007) il 52 % lavora, il 14,8 % è in cerca di un lavoro ed il 29,9 % prosegue gli studi. A Sud la quota di giovani diplomati che dopo tre anni è ancora alla ricerca di un lavoro supera significativamente il 20%, oscillando tra il 24% della Sardegna ed il 20% della Campania.
Di notevole interesse è anche l’analisi degli sbocchi professionali dei laureati a tre anni dal conseguimento del titolo. Tra i laureati del 2004 nei cicli triennali, nel 2007 lavorava il 73% di cui il 20,4% prima della laurea. Nel ciclo specialistico (della durata di 4 o 6 anni) le quote di occupati e di neolaureati in cerca di lavoro sono sostanzialmente le stesse, ma è maggiore la quota di coloro che lavorano in modo continuativo (56%).
Un ultimo importante aspetto riguarda il confronto tra l’evoluzione dei livelli di istruzione secondaria e superiore dei giovani italiani tra i 20 e i 24 anni con i loro coetanei nei principali paesi europei: tra il 2005 e il 2010 la percentuale di giovani scolarizzati passa dal 73,6% del 2005 ed il 76,3 % del 2010, ma resta comunque leggermente al di sotto della media dei 27 paesi UE. Decisamente più bassa delle medie europee è anche la percentuale di laureati in discipline scientifiche: in Italia nel 2008 sul totale dei laureati è pari all’11% del totale a fronte del 13% rilevato nella UE.
Lara La Gatta

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