Attualità

Il ruolo dell’insegnante e della lezione “condivisa”, primo strumento contro il bullismo

Riceviamo e pubblichiamo un contributo dell’insegnante Paolo Latella, dirigente Unicobas, che pone una riflessione in merito alla figura del docente in rapporto al bullismo a scuola, purtroppo molto presente negli ultimi mesi.

Gli insegnanti sono costruttori di ponti del sapere, ponti come strutture sociali che da entrambi le rive veicolano le conoscenze. 

Ogni studente a scuola deve ascoltare, collaborare, socializzare, condividere le proprie conoscenze acquisite. Le rive non devono diventare derive… 


Ogni studente deve imparare a non ledere la libertà degli altri compagni e delle persone con cui interagisce (rispettare i genitori, gli insegnanti, gli amici, tutti gli essere viventi su questo pianeta), deve essere totalmente libero di organizzare direttamente la propria vita, secondo i propri desideri e senza il condizionamento di vincoli morali, religiosi o sociali.

Gli insegnanti devono garantire che questi “ponti” siano sempre in ottimo stato.

Questa è la scuola pubblica laica statale italiana che amo e difendo.

Ho iniziato ad insegnare nel 1985 e in 33 anni ho utilizzato diversi metodi e modelli di insegnamento come le unità didattiche, moduli didattici, lavori di gruppo, per obiettivi, per competenze con lezioni frontali, lezioni “a braccio”, lezioni di tipo problem solving, flipped classroom.

Ho letto su una pubblicazione di Mondadori Education (dove ho preso alcuni concetti sulla didattica) che l’insegnante può essere considerato “un facilitatore” (brutto termine) che, grazie alla propria capacità empatica, sa costruire rapporti interpersonali “utili” e creare contesti di collaborazione che favoriscono lo sviluppo armonico della persona e un apprendimento sereno.

Sono d’accordo in parte, perché per esperienza, i rapporti si costruiscono in modo positivo solo se si è in grado di farlo e se ci sono le condizioni. La realtà spesso è ben diversa dalla teoria…

Sembra scontato ma non lo è. Molti insegnanti precari entrano in tante classi numerose ad anno in corso, oppure ai docenti con contratto a tempo indeterminato gli vengono assegnate dai dirigenti scolastici, classi diverse e spesso si trovano ad ereditare situazioni problematiche che difficilmente riescono a sanare.

Non parlo solo della parte didattica ma anche del rapporto della classe con gli insegnanti, dell’interesse della materia e dei rapporti interpersonali con colleghi, alunni e genitori.

A quanti colleghi è capitato di sentire da parte degli studenti : “quell’argomento non l’abbiamo affrontato con il prof dell’anno scorso”, oppure, “il prof dell’anno scorso non spiegava”, o, “quello che spiegava non si capiva nulla…”.

Spesso gli studenti tendono egoisticamente a raccontare bugie e a nascondere la verità.

Nello stesso tempo però dobbiamo ricordare che esistono docenti che non hanno un rapporto positivo con la propria materia e con la classe.

E’ innegabile che la professione dell’insegnante è uno dei dei lavori più complessi che ci siano.

Il lavoro dell’insegnante prevede tradizionalmente un processo incentrato su conoscenza e comprensione, obiettivi cognitivi necessari ma che potrebbero non essere sufficienti per ogni esigenza di apprendimento.

Io credo che ancora oggi la lezione frontale sia un metodo importantissimo per la diffusione del sapere ma ovviamente non è sufficiente perché la conoscenza diventi parte integrante dei giovani.

Con la sola lezione frontale, l’insegnante rischia di diventare una figura noiosa, di mero diffusore di sapere in forma verbale; ipoteca inoltre molto del suo tempo per funzioni di sorveglianza e valutazione, quando sarebbe più proficuo impiegarlo per motivare e responsabilizzare gli alunni.

Alcuni studenti possono rimanere indietro senza riuscire a intervenire per chiedere chiarimenti, altri annoiarsi senza avere modo di saltare precisazioni superflue.

Ritengo sia utile far partecipare attivamente gli studenti durante la lezione frontale, coinvolgendoli in prima persona, rendendoli “utili” e non passivi.

Il percorso didattico deve partire dall’accesso ai contenuti fino ad arrivare alla loro applicazione e rielaborazione, l’insegnamento “condiviso” può rappresentare un’occasione per ridefinire il ruolo del docente, valorizzandone le doti relazionali.

In questo modello, dopo aver introdotto l’unità di apprendimento con una microlezione di riscaldamento, l’insegnante affida al proprio blog, ad un proprio video o ad altri materiali multimediali il compito di esporre la lezione: condividendoli con la classe, in modo che ogni studente sia in classe, in laboratorio e a casa propria possa accedervi nel momento e secondo le modalità che preferisce, e corredandoli di una verifica con pubblicazione del lavoro personale sul proprio spazio Web (sito o blog) per accertarsi che vengano effettivamente visti e assimilati.

Le ore di lezione saranno seguite con più interesse e potranno essere dedicate a chiarimenti sui contenuti spiegati. Ovviamente il lavoro di gruppo deve essere diretto dal docente perché la cooperazione tra studenti non diventi un semplice copia e incolla e salvaguardare i cosiddetti compiti autentici, a cui seguiranno momenti di confronto, feedback reciproco e autovalutazioni, nonché la negoziazione collettiva di conclusioni finali.

Il docente deve diventare un modello educativo per gli studenti, deve riuscire a “tira fuori” da ognuno di loro le proprie potenzialità più che introdurre in modo indiscriminato nozioni non assimilabili da tutti allo stesso modo.

Il ruolo dell’insegnante si configura come un’attività di guida e di regia, coordinando

le interazioni dei gruppi di studio, aiutando l’elaborazione creativa e personalizzata dei concetti acquisiti, mettendo a disposizione esperienza professionale, sensibilità pedagogica e intelligenza emotiva.

Al di la della mera burocrazia è fondamentale programmare la propria didattica.

Se tra i vantaggi ci sono l’incoraggiamento dell’autonomia e della creatività degli studenti e la possibilità di disegnare per bisogni specifici dei percorsi di apprendimento individualizzato, è fondamentale d’altro canto programmare bene ogni fase e la sua relazione col progetto didattico complessivo.

È importante comunicare con chiarezza agli studenti quale sia lo scopo e l’articolazione di una lezione, mantenere un dialogo trasparente e aperto sul metodo, e tener conto dei feedback che si ricevono, permetterà di monitorare costantemente lo stato della classe.

Ovviamente è consigliabile informare i genitori durante gli incontri collegiali e le ore di ricevimento delle proprie iniziative didattiche e per una relazione serena con l’intero contesto, è importante avvisare l’intero consiglio di classe della decisione di sperimentare un nuovo modello di insegnamento.

Accade spesso che in un consiglio di classe ci sia uno scetticismo iniziale, basta non innervosirsi né mettersi in contrapposizione, spesso è sufficiente esplicitare i propri obiettivi serenamente ed essere disposti a condividere i propri risultati, questo modo aiuterà a migliorarne eventuali punti di debolezza e a coinvolgere nel progetto altri insegnanti.

Una collega mi aveva chiesto se ci fosse un modo per ridurre la violenza, il bullismo, l’arroganza da parte di alcuni studenti nei confronti degli insegnanti e del personale non docente.

Credo che coinvolgere gli studenti, falli partecipi nelle attività didattiche, nella condivisione della lezione sia un punto di partenza. Ogni essere umano deve sentirsi importante non differente da un altro. Le differenze sottraggono spesso umanità e cancellano la dignità.

Nello stesso tempo lo studente, che lede la libertà degli altri compagni, degli insegnanti e del personale non docente, che disprezza e violenta la loro vita, creando di fatto vincoli morali,
religiosi o sociali, deve essere punito secondo le leggi dello Stato italiano.

Cari colleghi, denunciate chi violenta la vostra dignità e quella degli studenti. La pietà è un’altra cosa! 

Redazione

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