Il saggio “Il senso della mediazione dei conflitti. Tra diritto, filosofia e teologia”, a cura di Maria Martello, appena uscito per Giappichelli (febbraio 2024, pp. 224, costo 31€, acquistabile col bonus cultura) riconosce la giustizia come esigenza primaria della persona, come lo è il diritto alla salute, alla vita e all’istruzione.
La mediazione dei conflitti può costituire una risposta concreta e strutturata a questo bisogno che tutti ci accomuna. E’ “una giustizia altra e alta”, che oltrepassa sia la mera applicazione del diritto sia la sola considerazione degli elementi fattuali, oggettivi, misurabili e verificabili. Raggiunge la centralità della persona e la complessità del suo vissuto dove gli elementi soggettivi e affettivi rappresentano la radici del conflitto e lo trasformano in contenzioso. Il cittadino deve sapere i cambiamenti che comporta nel “servizio giustizia” e che incidono sulla sua vita. Ma soprattutto può appropriarsi delle nuove linee operative per applicarle anche nel suo quotidiano personale e professionale.
Per questo il libro si pone certamente come strumento formativo per operatori del diritto, ed è anche utile per formatori ed educatori, manager aziendali, scolastici, per chi lavora nel campo dell’associazionismo e del volontariato, ma anche come manuale multidisciplinare di autoformazione per chi desidera capire e migliorare se stesso.
Il senso profondo della mediazione dei conflitti si realizza quando, con un setting particolare, si restituisce alle parti la possibilità di trovare da sé la soluzione alla questione che li oppone, senza delegarla ad un terzo, il giudice, il professore, il dirigente, il genitore. Quando si accetta di vederne il significato relazionale che lo ha generato con il suo incepparsi tanto umano quanto frequente, fatto di malintesi, di malevoli intenzioni, di soprusi, di giochi di potere, di truffe, di bullismo, ecc. Quando la diversità dei punti di vista diviene dialogo, confronto ed arricchimento e quindi rielaborazione e conseguente risoluzione del conflitto. A ciò può portare la mediazione solo se ogni applicazione è di spessore e induce un’esperienza di vita, veramente umana, che consente perfino a chi è stato ‘ingiusto’ di “riaggiustare” se stesso e la propria vita. Per questo va ben definito il modello operativo che si applica.
Nel saggio Maria Martello presenta il modello operativo di mediazione umanistico-filosofica che, da pioniera, applica da molto tempo e che può dare spunti anche per le nostre personali relazioni quotidiane. Il testo raccoglie i contributi di alto profilo scritti da filosofi (Salvatore Natoli e Tommaso Greco), giuristi (Roberto Bartoli e Luciana Breggia) e teologi (Pietro Bovati e Letizia Tomassone). Sono preziosi per riscoprire le radici filosofiche e sapienziali che ispirano e sostengono il pensiero che è insito nell’introduzione di questa nuova linea culturale, nel senso profondo che ne giustifica il valore e lo sforzo della sua realizzazione. Tutti convergono nel considerare la mediazione come un orizzonte che è interessante ricercare e perseguire in quanto volano di cambiamento migliorativo della risposta al bisogno di giustizia della persona.
Rappresenta quindi una novità che richiede un radicale cambio di mentalità e potenzia la stessa democrazia.
Oltretutto l’attuale riforma della giustizia la rende obbligatoria in molti ambiti prima di adire il giudice.
Mediare, in tutti gli ambiti, significa realizzare una giustizia che pone al centro la persona in carne ed ossa e la sua relazione con l’altro, attraverso un percorso spesso anche difficile, ma che tende a rimuovere le cause del dolore che ogni conflitto produce. Prendendosi cura dell’uomo, è la risposta più radicale, e forse risolutiva del problema Giustizia, migliora la società costruendo le basi di un nuovo umanesimo, su un piano vicino ai valori più alti dell’uomo. Una via maestra che porta a meno violenza e più pace.
Siamo quindi tutti chiamati a capire la portata di questa riforma: per difenderla è necessario conoscerla.
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