I risultati (disastrosi) delle prove Invalsi sono sotto gli occhi di tutti. Il tentativo del governo Conte di regionalizzare l’istruzione anche. Il mondo della scuola vive, ancora una volta, un momento critico.
Dal punto di vista dell’istruzione l’Italia è divisa in due: una che capisce e sa leggere l’inglese e l’altra no, una che sa fare di conto e ottiene risultati positivi in matematica, l’altra no, una che parla e scrive correttamente in italiano e l’altra, purtroppo, ancora no.
I dati del rapporto Invalsi, già ampiamente analizzati dalla Tecnica della Scuola, fanno emergere “innegabili motivi di preoccupazione”, afferma il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.
La regionalizzazione, in questi giorni al centro del dibattito politico, sarebbe una catastrofe per il sistema di istruzione: una scelta che accentua e radicalizza le differenze e le diseguaglianze. Già il Nord, infatti, ha risultati migliori rispetto al Sud senza l’auspicata autonomia.
L’incapacità di apprendere l’italiano limita non solo la conoscenza, ma anche il pensiero e rende lo studente facile preda di pensieri demagogici o peggio anche di fake news, dilaganti, soprattutto sul web. L’impoverimento lessicale riguarda tutti, piccoli e grandi.
Che fare, dunque, per migliorare la scuola? Perché non funziona? Nel 2016 il professore e scrittore Roberto Contessi ha scritto il libro dal titolo emblematico “La storia di classe”.
Per Contessi, “il sistema dell’educazione superiore in Italia ricompensa chi ha una predisposizione naturale o chi ha alle spalle una famiglia che spinge i ragazzi allo studio, mentre lascia indietro gli studenti che non hanno talento o capacità acquisite dall’ambiente familiare. La scuola, in particolare i licei e gli istituti tecnici e professionali, compie quest’operazione sotto copertura, innescando una serie di azioni che concorrono a promuovere indistintamente ed emettere così titoli di studio fasulli”
Dunque per Contessi “la scuola così com’è condanna i più svantaggiati all’incertezza del loro futuro, alla disoccupazione, all’intermittenza professionale. Anzi, fa peggio: promuove tutti, al massimo allungando il percorso di studio dei più fragili con qualche bocciatura”.
E i docenti? I professori si sono messi in trincea, da una parte sanno perfettamente che la scuola così come è strutturata è iniqua ed inefficace, dall’altra si rendono conto che dovrebbero revisionare i metodi di insegnamento, aprirsi al web, fare scuola in modo mirato anche fuori dalle aule e portare il mercato delle ripetizioni dentro le mura scolastiche.
Dunque spazio a nuove idee, nuovi comportamenti, non più l’anzianità, ma il merito. Basta con la scuola che asserisce di promuovere le potenzialità dei propri alunni e invece regala solo voti.
Occorre un bagno di umiltà sia da chi propone riforme della scuola e non conosce questa realtà e chi, invece, scende in piazza e non racconta a fondo come stanno le cose tutelando così l’esistente e rendendo la scuola sempre più classista.
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