I lettori ci scrivono

Il “sistema” di Floris è sbagliato

L’ultimo libro di Giovanni Floris, sta riscuotendo un discreto eco sulla stampa ma purtroppo chi ne parla o non lo ha letto o non lo ha compreso. Almeno lo spero. Per questo “scriverne” è sbagliato. Sta avvenendo con il libro di Floris quello che ogni ora avviene all’interno della scuola: non si esaminano davvero le criticità e si applicano soluzioni temporanee che, in breve tempo, si rivelano dannose.

Alla fine dell’anno si arriva stanchi e scoraggiati e si lascia spazio al “ciuco” di turno che ha la forza di parlare perché in aula non lo ha mai fatto, anche dovendolo fare, in qualità di docente.

Così dalla “criticità” si arriva alla catastrofe. Conosco personalmente Floris, ho lavorato con lui in tempi bui e tempestosi, al via dell’inchiesta “mani pulite” quando Giuliano Amato, oggi alla Corte Costituzionale, era Presidente del Consiglio. Non mi potrò mai dimenticare le notti per il “patto per il lavoro”, le discussioni fiume con i sindacati e i pezzi dettati al dimafono o agli splendidi  colleghi di un giornale di partito che ha visto tra i suoi redattori  chi, come Floris, è diventato conduttore televisivo e chi, al braccio di Montanelli, diede vita al suo: anche io come lui ripeto sempre “il più pulito ha la rogna”.

A quei tempi, lo ammetto, lavorai al fianco di Floris, perché ero stata l’unica professionista in Italia ad accettare un contratto per l’estate.

Lasciai una delle prime televisioni dell’allora circuito Fininvest (oggi Mediaset) per un giornale che già era in “odore di chiusura” perché legato direttamente al partito socialista dal patto di ferro  Bettino Craxi – Silvio Berlusconi. Lasciai la mia città natale e giunsi a Roma con l’auspicio di un “contratto scritto” e di contributi reali al periodo di lavoro. E così fu: nonostante tutto, nonostante le difficoltà, nonostante il fallimento della testata giornalistica ormai inevitabile, per gli sperperi negli anni precedenti, forti dell’appoggio pentapartitico, a livello nazionale, ricevetti, per la prima volta una retribuzione “reale” e con contributi regolarmente versati. Durò poco ovviamente: la testata  storica fu falciata via e massacrata. Gli ottimi colleghi trovarono strade in altre televisioni o testate. Oggi la gran parte di loro sono in Rai, pochi in Mediaset, io nella pubblica amministrazione: pur continuando ad occuparmi di informazione e giornalismo ho investito professionalmente sui new media e innovazione tecnologica.

Ma ho voluto raccontare brevemente questa storia di “conoscenza con Floris” perché, proprio come sta avvenendo con il suo libro, se non si ricorda la storia, “quella vera”, si rischia di interpretare “male” il presente. La grande chance che mi è stata offerta quell’estate è stata di “imparare ad imparare” ogni giorno.

Soprattutto dai colleghi che, prima di altri che avranno la sventura di affrontare identiche chiusure, vivevano e capivano per la prima volta quanto grande sarebbe stato il cambiamento dal 1992 in poi. E proprio questo accomuna la scuola di oggi con allora: lo possono raccontare gli insegnanti di ogni ordine e grado, da quelli di ruolo  a quelli precari da vent’anni, quelli che pur avendo vinto un concorso, non sono stati mai chiamati o quelli che, come i diplomati magistrali, si vedono “cancellati” dal sistema normativo attuale e  si apprestano allo sciopero della fame o altre forme di protesta per un “posto al sole”. Tutti questi, davvero tutti, ma non quelli che “freschi diplomati” con i loro ricorsi seriali, stanno contribuendo  a compromettere l’integrità del sistema scuola. Certo, anche il collega giornalista Rai Franco Di Mare ha cercato di focalizzare  l’attenzione sul mondo della scuola ma il mezzo televisivo ha altre caratteristiche: la sintesi è più smaccata. Spesso l’analisi punta sul grande pubblico e di conseguenza direttamente sulle famiglie che  troppo spesso difendono i ragazzi quando non dovrebbero.

Questa diversa “forma di comunicazione” fa però la differenza. Chiedete ai docenti, quelli dell’infanzia o quelli del secondo ciclo: tutti punteranno il dito sull’organizzazione scolastica. Su quanto sia difficile far capire dove davvero sussistono le criticità. Ed è soltanto parlando davvero con i docenti – senza mediazioni come con i sindacalisti collusi che all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, puntano a fare “entrare” soltanto i “loro” insegnanti – che si comprenderà da dove cominciare. E il punto di partenza non è certo quello di lasciare che siano i dirigenti scolastici a scegliersi gli insegnanti. No, davvero no. Non posso e non voglio credere che sia davvero questo il pensiero di un “giornalista navigato” come Floris. Ed è per questo che ricordo a Floris, ma soprattutto a chi scrive sul libro di Floris, che le assunzioni in Finlandia, Svezia, Norvegia, Regno Unito, Paesi Bassi, Polonia, Repubbliche baltiche e gran parte dell’Europa dell’Est sono libere non perché “il sistema è quasi aziendale”.

Ogni istituzione scolastica italiana potrebbe bandire i concorsi (e in parte con la messa a disposizione e con la chiamata della graduatoria di istituto di prima, seconda e terza fascia si fa da sempre in Italia) se il nostro livello di corruzione e concussione non fosse così elevato.

Nel 1985, per essere sintetica, vinsi il primo concorso nella scuola: per prendere servizio mi chiesero 10 milioni delle vecchie lire. Eppure ero vincitrice, non idonea, vincitrice. Oggi le cose sono peggiorate: il prezzo di un “diploma tecnico” è di mille euro.

L’inserimento in graduatoria è “compreso nel servizio” perché staff compiacenti di segreteria aggiustano punteggi e titoli che quando non esistono, si creano ad hoc. No, Giovanni non può aver scritto questo, non può aver scritto di voler lasciare campo libero  ad ogni singola istituzione scolastica, non può essere questo il suo pensiero.

Anche se restano in molti a pensare che lui sia “il solito raccomandato” ha dimostrato da tempo di essere un bravo giornalista: certo, ha qualche problemino ancora con i titoli (i miei non li gradiva) ma di qui a pensare che il Ministero dell’Istruzione non stia compiendo, anche con ministri di diversa estrazione politica, non ultima la Fedeli (ed è vero che non serve una laurea per conoscere come lei il mondo della scuola) sforzi enormi per un cambiamento effettivo, è quantomeno da “impreparati”.

Ricordare che i sistemi scolastici ai quali Floris fa riferimento, insieme a quelli di alcuni Paesi asiatici, “compaiono regolarmente in vetta alle classifiche mondiali di eccellenza” è da “classisti” e neanche i leghisti sarebbero d’accordo. La scuola pubblica è di tutti: si chiama pubblica proprio perché è di tutti. Ed è su questa strada e su nessuna altra che si deve lavorare. Certo, la scuola è specchio dei tempi ma occorre distinguere tra i “problemi che entrano nella scuola” perché sono “pane quotidiano” del nostro presente da “problemi della scuola”.

I governi che si sono succeduti, dal 1992 in poi, hanno dimostrato di non saper affrontare la questione ma proprio Giuliano Amato ha scritto nel novembre scorso definendo “eccentrici” alcuni comportamenti del MIUR ed indicando la strada per un cambiamento, in particolare in relazione al precariato, ai docenti di ruolo e alle scuole paritarie.

Forse, da questa sentenza della Corte Costituzionale, si può ripartire per considerazioni meno superficiali e la stesura di una road map che guardi alle eccellenze del Nord e del Sud Italia. Esistono, Floris, e si tratta di scuole pubbliche di ogni ordine e grado.

Io ho avuto in classe studenti con coltelli e pistola e studenti a cui la pistola e il coltello è stata tolta vivendo tra le mura di un carcere minorile ma non sono l’unica; posso raccontare storie di centinaia di insegnanti che tra graffi, urla e spintoni fanno convivere e insegnano a convivere ragazzi e soprattutto bambini di etnie diverse, e lo fanno in tutta Italia, a prescindere dai dirigenti scolastici che non possono scegliersi gli insegnanti proprio perché devono esistere procedure selettive.

Continuare a lasciare il passo a corruzione e concussione, come si vede viene interpretato il tuo libro, significa perdere il futuro, perdere i ragazzi, perdere i bambini. Lasciare passare la sola idea che l’esperienza non conti, che i titoli non valgano e che chi non ha la possibilità di far andare avanti i propri figli nelle “scuole di  eccellenza”, significa “cancellare” la ricchezza che l’Italia ha, potendo contare su chi nella scuola vive, anche da precario da trenta o vent’anni.

Forse Floris, è il caso di ricordare, ricordare che la scuola è pubblica, che la scuola è di tutti. Ripartire dalla memoria è la sola possibilità che abbiamo per “aggiustare” una legge per la Scuola Pubblica. Per dare un futuro all’Italia fregandocene delle “stelle attribuibili all’estero per l’eccellenza”. La nostra realtà è quella che migliaia di  insegnanti vivono sulla propria pelle e non è quella che si  intravede tra le righe di chi, del tuo libro Floris, sta scrivendo.

Al Primo Banco, sono in tanti a sedere ma, e cito Daniel Pennac, “Un professore scopre ben presto che, ad ogni domanda posta, lo studente interrogato ha a disposizione tre risposte possibili: quella giusta, quella sbagliata, quella assurda”: auspico che, la soluzione che dicono sia proposta nel libro, non sia “quella assurda” che veda la luce.

Angela Mazzocchi

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