“La scuola non può essere terreno di scontro partitico: c’è un perimetro dentro il quale si può solo collaborare tra tutti perchè i nostri figli, tutti, ci appartengono”.
Così si è espressa lunedì 27 febbraio la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, a margine dell’inaugurazione di una scuola prima a Città S. Angelo.
“La scuola non può essere utilizzata per dividere perchè le compete la costruzione dei pilastri democratici della società. Noi dobbiamo superare un punto fondamentale: l’investimento sulla scuola – ha concluso il responsabile del Miur – è senza colore e vuol dire investire sul futuro”.
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Le parole di Fedeli non possono che essere condivisibili. Tuttavia, va ricordato che nelle realtà le cose stanno diversamente. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito, ad esempio, a tre revisioni radicali del sistema formativo italiano: si è passati dalla gestione Moratti alla riforma Gelmini, con il dimensionamento che ha ridotto di quasi un terzo sedi ed organici. Sino, ai nostri giorni, alla Buona Scuola voluta a tutti i costi dall’ex ministro Giannini.
Trovare un filo conduttore, super partes, tra le tre gestioni non è facile: ogni Governo è andato per i fatti suoi. Perché la scuola, purtroppo, non è ancora quel luogo del bene comune, auspicato dalla Fedeli. Purtroppo, l’appartenenza al partito prevale ancora rispetto ai bisogni della scuola, di chi la governa, di chi fa formazione e dei giovani che la vivono e crescono con essa.
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