La Lega stravince: e subito il pilota Matteo Salvini preme l’acceleratore della regionalizzazione. Il giorno dopo il trionfo, in conferenza stampa, il “capitano” delle destre italiane precisa i propri obiettivi immediati: «Ridurre le tasse, accelerare su autonomia e infrastrutture». Da vero condottiero non perde tempo, né dà tregua al vinto. Il M5S dovrà scegliere rapidamente se tener in vita il Governo (da cameriere del vincitore), oppure far cadere il Governo stesso e lasciarsi distruggere definitivamente in elezioni anticipate dall’esito prevedibile. Scacco matto.
Quale che sia la scelta degli “alleati” di Governo, Salvini vuol portare a casa la regionalizzazione. Ma conviene a docenti e lavoratori della Scuola che il caudillo padano consegua anche questo obiettivo? Ammesso (e non concesso) che l’autonomia differenziata sia un’ottima cosa, essa significherà comunque de facto — lo ribadiamo ancora — 20 codici disciplinari diversi, 20 contratti (regionali, non più nazionali) diversi, 20 monti orari lavorativi diversi, 20 profili stipendiali diversi, 20 stati giuridici diversi. Ma c’è di più: il combinato disposto tra regionalizzazione e flat tax getterà in miseria i docenti. Infatti anche la flat tax, tagliando le tasse soprattutto ai ricchi, impoverirà lo Stato; il quale dovrà recuperare il denaro mancante alzando le imposte indirette: IVA, accise sulla benzina, ticket sanitari, biglietti dei mezzi pubblici, bolli, spese postali, bollette graveranno sui già miseri stipendi della Scuola più che su ogni altra categoria della classe media.
Qualcuno potrebbe anche pensare che l’autonomia differenziata in qualche regione ricca porterà ai docenti soldi e soddisfazioni. Storicamente, però, la mancanza di regole comuni (economisti e storici la chiamano “deregulation neoliberista”) non ha mai portato maggiori garanzie per i soggetti più deboli della società. Orbene, nel lavoro dipendente il soggetto più debole sono sempre i lavoratori dipendenti; in particolare i docenti, da 30 anni sotto attacco ideologico, con potere d’acquisto in picchiata e scarsissima propensione alla lotta, allo sciopero, alla sindacalizzazione, all’informazione sui propri diritti; più deboli, infatti, di qualsiasi altra categoria. Tanto che i Governi, da 30 anni questa parte, se devono trovar soldi, li sottraggono alla Scuola.
La Lega oggi si presenta come forza patriottica, baluardo degli interessi italiani in Europa, tutela dei sacri confini patrii e fautrice di sviluppo per tutti gli Italiani dalle Alpi a Lampedusa. I nostri compatrioti hanno memoria molto corta, e ciò fa la fortuna di chiunque sappia ben parlare, ben presentarsi in tv, ben attuare le teorie politiche di Machiavelli. In un Paese così, anche il generale George Armstrong Custer non avrebbe difficoltà, se simpatico e spregiudicato, ad accreditarsi quale leader della difesa dei nativi americani.
20 anni fa la Lega (allora Lega Nord secessionista) parlava esplicitamente di “Scuola Nazionale Padana”, e voleva realizzarla in fretta: altrimenti «Il morente sistema italiano è destinato riprender forza e ad assestare il colpo mortale alle nostre istanze di libertà, di indipendenza, di riscoperta del passato». Parola di Umberto Bossi, primo ”capitano” dei nordici patrioti. Era il 1998. «Le spinte provenienti dal tessuto padano», dichiarava Mariella Mazzetto, ex insegnante e sottosegretaria all’Istruzione nel primo Governo Berlusconi, «ci hanno convinto creare un sistema scolastico profondamente alternativo, in grado di inserirsi come un cuneo immaginario tra le rovine di un mondo ormai logoro e vetusto, capace solo di garantire privilegi acquisiti grazie allo strapotere sindacale e non in grado di provvedere alla formazione di una vera e propria classe dirigente padana». Per “privilegi” bisogna qui intendere i diritti dei lavoratori e dei docenti; per “strapotere sindacale”, il potere contrattuale dovuto al Contratto Collettivo Nazionale (che l’autonomia differenziata distruggerebbe).
Mazzetto intendeva curare la “qualità del rapporto tra autonomia scolastica e comunità locale”. La Scuola Padana avrebbe dovuto pertanto contemplare “materie delle identità, quali lo studio della lingua, degli usi e delle tradizioni locali, la storia e la civiltà dei popoli della Padania, nonché arte, musica e sport, espressione della ‘padanità’”. Una delle caratteristiche dell’autonomia differenziata, in effetti, è proprio la possibilità di introdurre materie del genere.
È possibile sperare che un simile quadro sia ancora evitabile? E che a evitarlo sia il M5S, capace, in un solo anno, di ribaltare (a proprio sfavore!) i rapporti di forza con l’avversario/“alleato”?
Il pessimismo della ragione suggerisce di no. L’ottimismo della volontà, tuttavia (se di volontà la classe docente è ancora capace), potrebbe riservare sorprendenti sorprese. A patto che gli insegnanti tornino a credere in se stessi, nella propria capacità di difendersi e rappresentarsi da soli, nel proprio desiderio di non lasciarsi umiliare né schiacciare. Come più volte in passato è successo, e può ancora avvenire.
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