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Il soldato russo che ha salvato il mondo a un passo dalla terza guerra mondiale

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25 settembre 1983, Mosca, Unione sovietica, una domenica come tante durante la quale il tenente colonnello Stanislav Petrov si gode il riposo in famiglia. Squilla il telefono. Risponde. Le linee del suo volto si irrigidiscono. Dice soltanto: va bene arrivo. Un collega è malato tocca sostituirlo per il turno notturno.

Quindi si infila l’uniforme. Abbraccia i figli, bacia la moglie ed esce di casa senza sapere che quella notte si arriverà a un passo dall’apocalisse nucleare e cha sarà lui ad evitarle.

Petrov lavora in una base sotterranea, un bunker, a un centinaio di km dalla città. Ha un compito apparentemente noioso e monotono ma in realtà delicatissimo. Non deve perdere di vista gli schermi collegati ad OKO, “occhio” in russo, un sistema di satelliti pensato per individuare e segnalare in tempo reale un eventuale lancio di ordigni nucleari da parte degli Stati Uniti.

Nei primi anni Ottanta l’Unione Sovietica è piegata da una violenta crisi sistemica, che investe l’economia ma anche gli apparati statali. Le crepe profonde di un sistema che si sta lentamente dissolvendo arrivano in una superficie e si iniziano a notare. Il nuovo presidente americano Ronald Reagan lo sa e per questo ha alzato il livello di tensione anche militare.

È un momento storico tesissimo, nel quale la guerra fredda rischia da un momento all’altro di sfociare in un conflitto termonucleare. Lo sanno tutti. Lo sa anche Petrov.

Petrov deve guardare uno schermo che è sempre vuoto. Fino a quel giorno. Pochi minuti dopo la mezzanotte la realtà precipita nell’incubo di ogni controllore. Il sistema satellitare ha rilevato un missile partito da una base americana e diretto verso i territori dell’Unione Sovietica.

In questo caso la procedura non lascia scampo:avvertire immediatamente il Cremlino. Petrov però resta lucido. Nonostante l’inquietante allarme del sistema, nonostante la tensione di quei mesi, non perde la calma e si fa la domanda giusta: come è possibile che gli Stati Uniti abbiano attaccato con un solo missile?

Si chiama strategia della mutua distruzione e Stanislav la conosce bene: il primo contendente che decide di varcare la linea di non ritorno, che decide di attaccare, innesca la risposta immediata e totale dell’avversario: non ci saranno vinti e vincitori, ma solo l’annientamento di entrambi i blocchi. Dunque di tutto il mondo.

Allora si chiede Petrov, come è possibile che gli Stati Uniti abbiamo attaccato con un solo missile, annullando di fatto tutto il loro prezioso vantaggio? Non ha senso.

Così, nonostante una tensione difficile da immaginare, una responsabilità enorme, decide che si tratta di un errore del sistema di monitoraggio e non lancia l’allarme.

Ma non è tutto. Pochi minuti dopo gli schermi segnalano un altro allarme. Questa volta i punti sono quattro. E quindi diventano in tutto cinque. La questione si fa decisamente più complessa e probabilmente l’idea di segnalare l’attacco balena anche nella mente fredda e calcolatrice di Petrov. In pochi istanti si decide il destino dell’umanità.

Petrov alza il telefono e chiama il Cremlino. Per segnalare un errore del sistema. La posizione, l’ordine, il numero dei missili segnalati non può essere un attacco. A dispetto delle inquietanti premesse non ha alcun senso.

Passano lunghi interminabili minuti. Non succede nulla.

È da poco passato l’equinozio d’autunno. La terra e il sole si trovano in una particolare posizione che ha prodotto riflessi luminosi ad alta quota. Un abbaglio per l’OKO sovietico che avrebbe potuto portare alla fine del mondo.  Il sistema aveva confuso una particolare congiunzione astronomica con un attacco.

Un singolo uomo aveva osato sfidare il sistema di controllo. Un’intuizione. Un essere umano aveva salvato l’umanità.