Secondo gli ultimi dati Istat il lavoro irregolare ha generato un valore aggiunto che è cresciuto dai 71,5 miliardi del 2012 ai 77,4 del 2015, mentre il tasso di lavoratori irregolari è arrivato al 15,6% nel 2015.
Sono indicatori di ritardo e di squilibrio socioeconomico di lunga data, che incidono -scrive il Sole 24 Ore- perfino sulla precarietà del lavoro e sulla sovrapposizione/concorrenzialità tra i circa 4 milioni di lavoranti in nero, da un canto, e, dall’altro, i 3 milioni di disoccupati, più 2 milioni tra inattivi scoraggiati e occupati part-time che lavorano meno di quanto vorrebbero.
Il lavoro nero dà luogo, secondo l’Istat, al 5,2% del valore aggiunto nazionale, con valore di circa 210mld di euro annui e provoca un’evasione fiscale e contributiva di circa 150mld di euro e una economia sommersa che in quel periodo raggiunse picchi ufficiali del 20% del PIL, con la conseguenza che la pressione fiscale reale sulle famiglie e imprese che pagano le tasse aumenta di oltre 10 punti in più rispetto a quella ufficiale.
Il sommerso, spiega Il Sole 24 Ore, ha due grandi serbatoi da cui attingere: l’ampia platea di quanti non hanno un’occupazione, e quanti hanno già un’occupazione alle dipendenze e vogliono integrare il reddito.
In questa seconda categoria appartengono i docenti, dal momento che il loro lavoro sommerso non si può trasformare in nuova occupazione formale, mentre il problema è maggiore là dove le istituzioni sono meno organizzate e recettive.
E infatti, precisa il giornale economico, se la nostra scuola funzionasse, il florido mercato delle ripetizioni potrebbe essere eliminato con un’organizzazione più efficiente e inclusiva o sottratto agli insegnanti bioccupati per convertirlo in lavoro per giovani neolaureati.
Ragionamento analogo anche per l’assistenza agli anziani e ai soggetti non autosufficienti, attività che danno lavoro a un esercito di badanti (quasi il doppio di tutti gli occupati nella sanità) con ampie sacche di lavoro in nero. Si potrebbero fare molti altri esempi per attestare che la carenza di razionalità organizzativa (amministrativa e imprenditoriale) è all’origine del lavoro nero, soprattutto nei servizi (oltre il 35% il tasso di lavoro “irregolare”).
In conclusione, le politiche di contrasto al sommerso hanno chance limitate di cambiare la situazione, ma hanno diverse frecce a disposizione: controlli, punizioni, cashless economy, incentivi all’emersione o con istituti tipo i voucher che però sono visti come conduttori di precarietà.
La vera partita contro il sommerso – come per le altre grandi fratture “da ritardo”- non si gioca in campo strettamente economico, ma in quello etico-politico, che annovera capitoli, come il rafforzamento di una cultura organizzativa e tecnologica imprenditoriale, la tutela del lavoro, l’equità fiscale, ecc.. Se si vuole cambiare.
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