Ogni volta che la gente comune, gli studenti, i docenti, la società civile, gli intellettuali più sensibili vanno in piazza a manifestare, con cortei e cartelli, contro le mafie e i pezzi corrotti dello stato, ci balugina nella mente l’immagine, con volti appannati e indefiniti, dei mafiosi e dei loro fiancheggiatori, nelle vesti dei servitori corrotti dello stato, che assistono all’evento seduti comodamente davanti alla televisione, magari con una sigaretta in bocca e dei liquori accanto.
E ci chiediamo: cosa pensano costoro quando sfila un corteo che nomina con disprezzo la loro organizzazione? Come giudicano questo popolo che li rifiuta e che li accusa dei delitti più bestiali? Sorridono con ghigno mefistofelico, vedendo tanta gente, o si indignano? Bestemmiano e imprecano, progettando magari altre uccisioni affinchè nessuno disturbi il loro operato? Oppure ridono soddisfatti della loro opera e delle loro azioni, meditandone altre? Passerà attraverso la loro mente un guizzo di pentimento, come quel “pentitevi” che Giovanni Palo II scagliò loro dalla Sicilia? Quali riflessioni faranno, leggendo i cartelli che li definiscono “criminali o assassini?” E soprattutto: che giudizio daranno a questo popolo che protesta contro di loro?
Interessa poco il giudizio di un criminale, si potrà dire; ma allora che penserà il funzionario corrotto dello stato o il politico affiliato alle cosche che in Parlamento concorre a fare le leggi e che è ammanicato con tali organizzazioni per i propri interessi? Che penserà costui che magari sarà invitato a presiedere qualche dibattito pubblico o intervenire a delle cerimonie ufficiali commemorative? Avrà rimorsi? Si infileranno lacerazioni nella sua coscienza simili o ombreggianti quelli che Manzoni descrisse nel guazzabuglio della coscienza dell’Innominato?
E ce lo siamo chiesto soprattutto in occasione dello sbarco delle due navi della legalità a Palermo: la “Paolo” e la “Giovanni”, i nomi che simbolicamente sono stati dati in omaggio a Borsellino e Falcone, i giudici ormai simbolo della lotta contro la mafia e il potere mafioso.
Di fronte a quella fiumana di oltre 20 mila studenti e insegnanti, genitori e servitori fedeli dello stato che hanno invaso Palermo, sventolando accuse contro questo potere losco e oscuro, che come una morsa impedisce un futuro migliore a questi giovani e alle loro famiglie: cosa diranno alle loro coscienze questi personaggi che vivono nell’ombra e nell’occulto tramano le loro tele di ricatti e di intimidazioni, di delitti e di delinquenza? Avranno riso o si sono disperati? Avranno sbuffato, bestemmiato, imprecato, minacciato quando quelle migliaia di giovani delle scuole italiane si sono radunati sotto l’”Albero Falcone” di Via Notarbartolo a Palermo e nell’ora esatta dell’esplosione della bomba di Capaci, alle 17, 58, hanno innalzato le loro canzoni sulla voce limpida di Claudio Baglioni e Antonello Venditti e poi gridato il loro disprezzo verso costoro e le cosche mafiose? O saranno rimasti indifferenti?
Durante il “68 avevamo pensato che la cultura e la scuola, la conoscenza e l’immancabile lavoro, che una società sicuramente migliore avrebbe potuto procurare, avrebbe tolto di mezzo il potere mafioso e delinquenziale, ma ci siamo sbagliati, benché sventolassimo, come oggi tanti ragazzi fanno con l’agenda rossa di Borsellino, il libro di don Milani: Lettera a una professoressa.
A 40 anni di distanza è invece riesploso, non solo un nuovo volto di bieco terrorismo, ma le mafie e le delinquenze si sono rafforzate, hanno raggiunto vette ancora più alte di condizionamento dello stato, intaccando ambiti sempre importanti e imprevedibili, esportando i loro brevetti criminali perfino in Europa. E ancora ci chiediamo: pensano anche loro, come spesso si sente di dire, che un giorno, molto presto speriamo!, la criminalità organizzata sarà sconfitta e che i boss, in qualità di gregari o capibastone, saranno punti dalle leggi dello Stato?
Il diavolo, diceva un teologo, non è nelle rappresentazioni che più comunemente si eseguono di lui, ma nelle morti degli innocenti, negli assassini, nelle guerre, nelle prepotenze e certamente pure nei poteri occulti e criminali delle mafie.