È la Svimez che lo dice, evidenziando come al recupero sul piano della «quantità» dell’istruzione non ne sia però corrisposto al Sud uno analogo dal punto di vista della «qualità». Ancora troppo bassi appaiono infatti sia i livelli generali dell’apprendimento sia la quota di popolazione in possesso di una laurea.
Il rapporto Svimez, secondo quanto pubblica Il Sole 24 Ore, sottolinea come negli ultimi due decenni, l’Italia abbia «realizzato sul piano della “quantità” di istruzione progressi significativi in particolare per la scuola superiore, grazie a un processo di scolarizzazione «ancora più accentuato nel Mezzogiorno che ha compiuto straordinari passi avanti superando sui principali indicatori le performances del resto del Paese».
Infatti la quota di diplomati meridionali ha addirittura superato quelli settentrionali (80 contro 75% nel 2013) e anche nell’istruzione universitaria il Sud ha raggiunto il resto della penisola, ma i livelli di istruzione complessivi rimangono più bassi alMezzogiorno. E non solo nelle fasce di età più elevate. Complice un calo delle immatricolazioni che ha interessato l’intero stivale ma che al Sud fa sentire maggiormente i suoi effetti
Al netto miglioramento della “quantità” di istruzione – precisa la Svimez – corrisponde «invece una situazione non certo soddisfacente per la “qualità”». La prima conferma arriva dalle indagini internazionali.
I test Pisa sulla conoscenza della matematica certifica che il 25% degli studenti italiani non raggiunge le competenze internazionalmente riconosciute. Una quota che al Sud supera il 33 per cento. Questi dati vengono avvalorati dalle rilevazioni nazionali dell’Invalsi che – si legge nel rapporto reso noto dal Sole 24 Ore – dimostrano come la qualità degli apprendimenti diminuisca «in maniera sensibile a mano a mano che ci si sposta da Nord a Sud». Risultati che, secondo l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, sono dovuti ai lunghi anni di crisi che hanno caratterizzato l’economia meridionale.
Un quadro del genere di fatto ha fermato l’ascensore sociale che la scuola può rappresentare. I miglioramenti nel campo dell’istruzione – fa notare la Svimez – non sembrano «essere in grado di “emancipare” gli studenti dai contesti sociali e territoriali di provenienza, e dunque di promuovere un’effettiva uguaglianza delle opportunità». Un fenomeno dovuto anche alle dinamiche insite nel nostro mercato del lavoro e allo squilibrio che caratterizza la domanda e l’offerta di soggetti qualificati.
Tra il 2008 e il 2014, infatti, i laureati hanno avuto un incremento percentuale del 19,3% mentre i soggetti attivi con basso titolo di studio si sono ridotti del 33,7 per cento. Peccato che nello stesso periodo in Italia sono diminuite le quote di occupati in professioni che richiedono un titolo di studio alto o medio (rispettivamente -8,7% e -3,4%) ed è aumentata del 16,7% quella relativa alle professioni che richiedono un titolo di studio basso. Con le solite divergenze territoriali: se il Mezzogiorno ha registrato la contrazione più importante della domanda di skill elevati (-14,1%), il Centro-Nord presenta, invece, una crescita consistente della domanda di bassi skill.
E la buona scuola, quale apporto ha dota o potrebbe dare? A detta della Svimez, va apprezzata soprattutto per la logica di programmazione pluriennale che la caratterizza, fermo restando – aggiunge – che «il vero banco di prova, su cui si dovrà misurare l’efficacia o meno della riforma, è proprio nella sua capacità di essere strumento di equità e di promozione sociale, come da tempo ha smesso di essere, di colmare i divari quali-quantitativi tra aree territoriale e tipologie di scuole». In quest’ottica un ruolo cruciale lo avrà un corpo docente «più motivato e meglio remunerato sulla base delle sfide e dei risultati». A patto, riporta Il Sole, di non ragionare solo in termini quantitativi di stabilizzazioni, bensì «rafforzando dunque quei meccanismi premiali e motivazionali» che guardano ai risultati dell’insegnamento anche sulla base della difficoltà della sfida che si affronta.
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