La notizia è di pochi giorni fa: il neoministro del MIUR Marco Bussetti ha promesso un luminoso e tecnologico futuro per gli studenti italiani, prospettando loro la liberazione dalla schiavitù dei quaderni (evidente retaggio del giurassico) grazie ai tablet. «Dobbiamo cambiare impostazione della didattica», dichiara il Ministro della Lega, «usare le nuove tecnologie, insegnare a relazionarsi con i social media, valorizzare il public speaking e il debate, puntare sulle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica)».
Quanto agli investimenti necessari per questo grandioso ed ambizioso programma, Bussetti risponde «Non credo che ne servano molti, il tablet», per l’appunto, «sarà il nuovo quaderno tra pochi anni, possiamo usare meglio investimenti fatti».
«Novità, finalmente! Aria nuova!», si sarebbe tentati di dire. Anche perché, dopo decenni di grigiore, tutti sentiamo il bisogno di sorridere e di guardare al futuro con rinnovata speranza. E poi — lo si sa — come la frittura rende qualsiasi alimento più gustoso, così le parole in Inglesorum rendono più credibile qualsiasi concetto: anche perché, per comprenderne a fondo la reale sostanza, chi le ascolta dovrebbe fermarsi un attimo e pensare; cosa non facile, nella società dell’immagine, delle fake news e delle sparate easy listening. Solo allora ci si accorgerebbe (con un brivido alla schiena) che, in fondo, la sostanza delle suddette suadenti parole in Inglesorum è molto più banale di quanto non appaia.
Certo, dire public speaking suona più elegante e brachilogico del nostro più eufonico (ma plebeo per i vati dell’anglobalizzazione neoliberistica) “arte di saper parlare in pubblico”. Chiamare debate il nostro normalissimo dibattito fa sembrare quest’ultimo qualcosa di nuovo, moderno, efficiente come i WASP che dominano il nostro surriscaldato pianeta (e tutti sanno che «l’Americani so’ forti», diceva Alberto Sordi in un celeberrimo film).
Ma il vero capolavoro dell’eloquenza (o meglio, public speaking!) bussettiana sono le materie STEM: acronimo che i liberatori dell’umanità dall’ignoranza hanno coniato per indicare sinteticamente (“fast-talk”?) le dottrine più amate dal capitalismo finanziario e tecnocratico: Science, Technology, Engineering and Mathematics, nuovo quadrivium della Scolastica del terzo millennio. Il resto è inutile lusso da buttar via, come tutto ciò che non serve alla tecnica bancaria e finanziaria. Perché il MIUR “del cambiamento”, si badi bene, è scienza, non fantascienza.
E veniamo al dulcis in fundo (“sweet at the bottom”?): il tablet al posto del quaderno. Risulta difficile immaginare che il Ministro possa aver pensato davvero di far cosa nuova affermando quanto è andato affermando. Difatti solo nove mesi fa la allora Ministra MIUR Valeria Fedeli presentava un decalogo per “l’uso dei dispositivi mobili” elaborato dal gruppo di lavoro nominato dal Ministero. Il decalogo contiene queste testuali parole: “Bisogna insegnare a usare bene e integrare nella didattica quotidiana i dispositivi, anche attraverso una regolamentazione. Proibire l’uso a scuola non è la soluzione. Ogni scuola adotterà una Politica di Uso Accettabile delle tecnologie digitali”. Nasceva così un nuovo, utilissimo acronimo: il PUA. Mai più senza.
E non è tutto: le scuole «dovranno fornire, per quanto possibile, i necessari servizi e l’indispensabile connettività favorendo un uso responsabile» dei dispositivi. Dopo il 6 politico, il wifi politico. In fondo, se i ragazzi devono copiare le versioni di latino dal web, non è forse giusto e democratico che lo facciano a spese della scuola?
Ma non temete: «È la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi». Ai ragazzi deve esser fattivamente insegnata la responsabilità personale: «Dal 2007, quando il Ministro Fioroni firmò la circolare che dava linee di indirizzo sull’uso dei telefonini durante l’attività didattica, molte cose sono cambiate, in termini di tecnologia e di uso dei dispositivi. Evidentemente resta inibito, come stabilito da quella circolare, l’uso personale», spiegava Fedeli, «di ogni tipo di dispositivo in classe, durante le lezioni, se non condiviso con i docenti e a fini didattici». E la Ministra annunciava solenne la nascita dell’“educazione civica digitale”, nonché l’introduzione nei programmi del “pensiero computazionale” e della “programmazione informatica”.
Dov’è la differenza tra Bussetti e Fedeli? E dov’è la differenza con i Ministeri precedenti? Infatti anche la Ministra Stefania Giannini aveva annunciato “un tablet su ogni banco” nel dicembre 2015. Forse la linea non è nuova perché non sono i ministri a dettarla, ma le Corporation?
E siamo poi così sicuri che la tecnologizzazione della Scuola, conseguente alla disumanizzazione della società tutta, abbia una reale utilità didattica? Non dovrebbe, la Scuola, essere un’isola di pensiero libero e di libera ricerca, svincolata dal pensiero unico? E il pensiero unico non è forse il volto presentabile del totalitarismo?
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