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Il taglia-spese non si applica alle scuole

Il Consiglio di Stato, in risposta al quesito posto dal Mef – in ordine all’applicabilità alle Istituzioni scolastiche delle disposizioni di cui al decreto legge 194/2002 trasformato in legge n. 246/2002, con parere n. 2275/2007 del 24 luglio 2007 – ha espresso l’avviso che le predette Istituzioni non debbono provvedere ad alcun versamento all’entrata del bilancio dello Stato, ancorché abbiano proceduto all’accantonamento delle somme ai sensi dell’art. 2 del decreto ministeriale 29 novembre 2002. Si fa riferimento in particolare ai commi 3 e 4 del decreto legge 6 settembre 2002, n. 194 che hanno previsto la riduzione delle spese di funzionamento, anche degli enti ed organismi pubblici non territoriali, nella misura del 15%.
Il predetto consesso, in sintesi, nel ritenere che le Istituzioni scolastiche non abbiano natura di “enti ed organismi pubblici non territoriali” diversi dalle “amministrazioni dello Stato”, ha rappresentato che la riduzione complessiva apportata a carico del bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione si è concretizzata in una corrispondente riduzione delle risorse finanziarie iscritte sotto i centri di responsabilità amministrativa riferiti agli uffici scolastici regionali, che ricomprendono anche tutti i capitoli di spesa destinati alle Istituzioni scolastiche.
Pertanto le stesse Istituzioni scolastiche non possono essere ritenute destinatarie della previsione della normativa in commento. Si pone fine, quindi, ad una annosa vicenda che si trascinava oramai da diversi anni sull’applicabilità alle scuole delle misure restrittive (c.d. taglia spese) che sono state poste in essere con leggi finanziarie ovvero altri provvedimenti. In buona sostanza le scuole non devono ritenersi destinatari di tali provvedimenti in quanto l’effetto restrittivo opera direttamente in capo al Ministero.
Come prescritto dalla suddetta normativa, gli organi interni di revisione e controllo erano chiamati a svolgere una funzione di vigilanza sull’applicazione di tale decreto. A tal fine nel corpo della relazione al provvedimento di variazioni al bilancio i revisori dovevano espressamente assicurare sia la congruità delle variazioni stesse, sia l’indisponibilità del maggior avanzo derivante dalla predetta riduzione, fino a diversa determinazione del Ministro dell’economia e delle finanze .
Circa le istruzioni operative veniva precisato che per gli enti pubblici con bilancio finanziario rilevano, ai fini della le riduzione delle spese di funzionamento, quelle di cui alla categoria IV “acquisti di beni di consumo e servizi di parte corrente o categorie assimilate, con esclusione delle spese aventi natura obbligatoria in quanto connesse a contratti o convenzioni in essere, per gli altri enti o per gli organismi pubblici che adottano il bilancio civilistico si doveva fare riferimento ai costi della produzione di cui all’art. 2425 CC, lettera b) nn. 6, 7 e 8, applicando la riduzione alle corrispondenti voci di budget.

Gli avanzi derivanti dalle predette riduzioni andavano evidenziati, per gli enti con contabilità finanziaria, nella tabella dimostrativa del risultato di amministrazione nella parte vincolata e per gli enti con il bilancio civilistico in apposito fondo di accantonamento da iscrivere nel passivo della situazione patrimoniale.

Per visionare la nota del Ministero della pubblica istruzione che allega il Parere del Consiglio di Stato n. 2275 del 24 luglio 2007, consulta il box “Approfondimenti”.

Giuseppe Cosimo Tolone

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