Si chiama “Officina teatro canzone” ed è una formula nuova di teatro, nonostante d’altra parte abbia già i suoi illustri predecessori nel Vaudeville, negli effetti di estraniamento delle pièce di Bertolt Brecht e persino nelle operette e nei musical. Anche se forse il titolare di questo teatro-canzone, la fonte da dove prende ispirazione Giuseppe Pastorello, autore, cantante, regista e presidente di Officina teatro canzone, sia il famoso cantante Giorgio Gaber, da qualche anno scomparso.
Si tratta per lo più di spettacoli, questi ideati da Pastorello, che seguono uno schema particolare, un genere espressivo legato alla teatralità, alla parola e alla musica, mentre la sua struttura è costituita da una alternanza di canzoni e di monologhi o più precisamente di parti cantate e reciate.
Le tematiche, e su questo versante le scuole e ciascun insegnante possono sbizzarrissi, potrebbero riguardare quelli a maggiore impatto culturale, sociale e anche politico, in cui gli argomenti di attualità e quelli più cari ai ragazzi diventano oggetto di analisi e di critica, di approfondimento e di verifica, compresi argomenti letterari tratti da novelle, racconti, poesie, ecc.
L’originalità del teatro-canzone di Pastorello sta nella struttura degli spettacoli che vengono gustati dallo spettatore come un film con la narrazione di una vicenda che si evolve durante la rappresentazione con una forte connotazione emotiva e che culmina nell’atto finale dove la riflessione è d’obbligo.
Le pièce che Pastrorello rappresenta durante la sua permanenza a Catania sono storie dimenticate ma di attualità, mentre particolare risulta la riproposizione di una novela di Giovanni Verga “L’asino di San Giuseppe”, dove il protagonista, l’asino appunto, simboleggia la sofferenza dell’umanità e i nuovi schiavi che migrano per cercare migliori condizioni di vita e spesso si ritrovato sfruttati a lavorare nelle campagne al limite della sopravvivenza.
L’opera segue fedelmente la novella di Giovanni Verga spostando l’attenzione dello spettatore verso alcuni aspetti della civiltà contadina, oggi incomprensibili per i giovani, che trovano ancora alloggio in quegli stati dove i diritti umani non sono pienamente riconosciuti. L’Asino è visto solo come un attrezzo da lavoro e, come tale, viene valutato in funzione al prezzo di acquisto, il consumo di cibo e la resa che, se negativa, anche se condizionata dalle avverse condizioni del tempo, tuttavia viene addebitata alla sfortuna che l’Asino di San Giuseppe naturalmente si porta dietro.
L’asino di san Giuseppe è l’emblema di un’umanità, il simbolo della lotta quotidiana che accomuna uomini ed animali con l’unico scopo di perpetuare una vita di stenti senza possibilità di riscatto.
Gli eventi si susseguono partendo dalla vendita dell’animale e percorrendo le varie tappe fra le quali vengono evidenziate : la speranza e il dolore della madre che vede il figlio ormai pronto per lavorare ma con il timore che possa soffrire più del necessario; la “pisata” dove l’animale viene aggiogato a bestie più grandi di lui costringendolo a trottare oltre le sue forze; l’occhio di un bambino che non sopporta il trattamento che viene riservato all’asino; la mancanza di qualunque forma di rispetto verso gli animali da parte del “gessaro” che raccoglie gli asini a “fine carriera” per dare loro gli ultimi colpi di grazia; la descrizione della situazione delle donne nella civiltà contadina e le riflessioni immaginarie di un autore che avrebbe voluto scrivere “di un asino che gioca con mio figlio”.
In ogni caso le rappresentazioni sono in svolgimento a Catania, al “Centro studi laboratorio d’arte”, via Caronda, 316. Per informazioni: 3939393189 oppure mail: officinateatrocanzone@gmail.com
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