Tra i tanti mi piace ricordarne un paio avvenuti a distanza di circa venticinque anni l’uno dall’altro, ma collegati tra loro, perché danno il senso di quanto sia scaduta la figura dell’insegnante a seguito delle mistificazioni dei ruoli avvenuta con una degenerativa interpretazione dei provvedimenti del 1974 denominati “decreti delegati” e successive norme e sentenze delegittimanti il ruolo professionale che hanno trovato valida sponda in diverse sentenze di vari Tar.
Correvala fine degli anni ’80 del secolo scorso e insegnavo, già da diversi anni, Geometria descrittiva in alcune classi degli ultimi anni. In particolare quell’anno mi erano state assegnate due classi quinte che dovevano affrontare l’esame di stato quando, un giorno, accadde quanto di seguito.
Seduto in cattedra nell’aula undici, attendevo l’arrivo degli studenti, ricontrollando alcuni passaggi della lezione che avevo preparato per quel giorno riguardante “le coniche”. Il mormorio proveniente dal corridoio si andavaspegnendo mentre i ragazzi, entrando mi salutavano e si distribuivano nei loro posti. Questa grande aula era attrezzata con i tavoli da disegno e i tecnigrafi, la cattedra sopra una pedana, una lunga lavagna appesa contro il muro adatta per le spiegazioni grafiche, una cassettiera per contenere le cartelle e tanti disegni – i migliori- attaccati alle pareti. Poiché la classe era numerosa, cominciai subito, per non rubare tempo alla lezione, con l’apppello e la registrazione degli assenti. Mentre svolgevo queste operazioni si riaccese quel mormorio che si era spento in precedenza. Terminate le incombenze formali iniziai, subito, la lezione riaggangiandomi a quella precedente, prima di affrontare il nuovo argomento, che ne rappresentava la continuazione. Dopo qualche minuto il mormorio cominciò ad alzarsi di tono e, guardando la classe,notai che qualche alunno dava anche segni d’insofferenza. Mentre continuavo a parlare, presentando il nuovo argomento, mi resi conto che si era creato un clima di disattenzione e un vocio di sottofondo che non favoriva l’attenzione e la concentrazione necessarie per seguire lo svolgimento della lezione. In quel momento smisi la presentazione dell’argomento e, rivolgendomi alla classedissi:
“Poiché avete cose più importanti da discutere invece che seguire la lezione, io esco sul corridoio e quando avete finito e si ricreaun clima idoneo a svolgere la lezione mi richiamate.”
Poi, soffermandomi un istante aggiunsi:
“Io non sto qui a fare monologhi da attore ma a svolgere il lavoro che mi compete, quello dell’insegnante: traghettatore di conoscenze”.
Neanche il tempo di chiudere il registro e scenderedalla pedana per avviarmi verso l’uscita che in classeera già tornato il silenzio. Nello stesso tempo l’alunna rappresentante di classe si alzaerivolgendomi la parola dice:
“Professore chiedo scusa in nome della classe, continui pure la sua lezione; il problema riguardante l’organizzazione di uno sciopero lo discuteremo fuori dalla scuola”.
Neanche il tempo di arrivare sulla porta dell’aula che tutti i ragazzi, ciascuno al proprio posto e con il blocco degli appunti aperto e pronto a ricevere lei annotazioni, erano tornati attenti e pronti a seguire la lezione con l’attenzione e la partecipazione necessarie e dovute.
Passano gli anni e le stagioni, passano i governi ed i ministri, passano le classi e le generazioni, passa “ignaro il vero senso della vita” (F. Battiato) mentre io, cambiando scuola, arrivo ad un anno scolastico di fine decennio del 2000 quando accade quanto di seguito.
Siccome durante la lezione con una classe prima si era creato un clima simile a quello già descritto con la classe quinta degli anni ’80 del secolo scorso, provai a ripetere quanto fatto allora. Poiché i ripetuti inviti a prestare attenzione, prendere appunti, seguire la lezione con un clima idoneo privo di vocio di sottofondo e un continuo stato di disattenzione erano caduti nel vuoto, mi fermai con la spegazione e, rivolgendomi alla classe dissi:
“Poiché quello che sto spiegando non v’interessa e avete cose più importanti da dire tra di voi e la mia presenza può essere d’intralciato; io ora esco e quando avete finito di parlare delle vostre cose, se volete che torni a fare lezione, mi chiamate perché io sto fuori, sul corridoio.”
Mentre chiudevo il registro da portare con me un ragazzo, in fondo all’aula, si alza senza chiederne il permesso, si avvia verso la porta, la apre e mentre con la mano destra tiene aperta la porta, con la sinistra mi fa un gesto con il quale dà forza alle parole e rivolto verso di me, che camminavo verso l’uscita, mi dice:
“Prego professore, si accomodi pure”
Il resto della classe si gira verso il compagno e, quasi tutti in coro:
“Vada, vada che quando abbiamo bisogno la richiamiamo noi”
Questi i fatti; lascio a ciascuno le considerazioni del caso.
Ora che sono in pensione riflettendo, in questi giorni, su questi due episodi mi sono reso conto di quanto sia degenerato il rapporto studente/docente e di quanto la figura dell’insegnante, la sua professione e il suo ruolo nella società sia stato mortificato da attacchi continui sferrati ad ogni livello: sociale, politico, economico, valoriale, istituzionale, ecc. da una società che ha scelto altri modelli educativi e altre agenzie formative per i propri giovani e il proprio futuro.
Il lavoro degli insegnanti è disconosciuto e disprezzato proprio da chi dovrebbbe averne massima considerazione (studenti, politica, famiglia, istituzioni); ed è lì il senso di mortificazione degli insegnanti che cercanocontinuamente di costruire e ricostruire, con grande fatica, ciò che altri demoliscono con estremma facilità. Si sa, purtroppo, che demolire è più facile che costruire, mantenere e consolidare valori conquistati con il sudore del pensiero, selezionati dal tempo e trasmessi dagli insegnanti, che si sono assunti l’onere di traghettare, di generazione in generazione, le conoscenze, sedimentatesi col tempo nel cuore della società, operando un continuo passaggio del testimone delle esperienze da arricchire, accrescere e valorizzare per quelli che verranno.
Ma la costruzione del ponte sul futuro, purtroppo, non appartiene più agli insegnanti tanto che il sottosegretario Davide Faraone ha definito le occupazioni di questi giorni come “esperienze di grande partecipazione democratica” ed anche “in alcuni casi più formative di ore passate in classe”, aggiungo io, con gli insegnanti.
Elio Fragassi