Spettabile redazione,
scrivo questo mio sfogo nel tentativo di mettere in luce un problema che interessa molti insegnanti come me.
Mi riferisco al vincolo triennale, una spolverata amara sull’immissione in ruolo, che arriva dopo anni di studio, impegno e sacrifici. Vivo all’estremo Sud della mia regione e, a settembre, sono stata destinata ad una scuola agli antipodi, a quasi 300 chilometri di distanza. Come me, molti colleghi hanno storie simili.
Oltre all’assurdità della situazione, dato che non si capisce quale mente perversa possa architettare un simile sistema di reclutamento, noi vincolati viviamo nella frustrazione di essere bloccati per un intero triennio, senza possibilità di chiedere un trasferimento.
Vien da sé che un insegnante che non vuole stare in una scuola viva delle emozioni negative, di frustrazione e angoscia, che influenzano la creatività, la gestione della classe, la motivazione.
Il vincolo danneggia profondamente la scuola ed è un’ingiustizia grave e inaccettabile, peraltro senza alcun vantaggio. Produce solo insegnanti infelici, intrappolati in attesa di fuga. La continuità didattica non ha nulla a che fare con tutto questo.
Perché un simile accanimento contro la scuola, che dovrebbe essere il luogo dell’incontro e del dialogo?
Michela Zangoli
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