Il rettore della Normale di Pisa, Vincenzo Barone denuncia, in una intervista al Quotidiano Nazionale: “Ogni volta che si tratta di valutare o proporre il nome di una donna per un posto da docente, si scatena il finimondo. Si parla di tutto meno che di preparazione, merito e competenze, che dovrebbero essere i soli criteri per valutare un accademico”.
Si tratta spesso “di calunnie belle e buone, con l’aggiunta, come accaduto in anni recenti, di lettere anonime e notizie false diffuse ad arte”.
Riguardo ai contenuti riferisce: “Offensivi, con espliciti riferimenti sessuali, volgari e diffamatori. Anche se missive anonime sono state utilizzate per colpire pure candidati uomini”, ma “se per gli uomini in genere il copione è quello di additare il maestro che vuole proteggere l’allievo prediletto – aggiunge – per le donne c’è l’aggiunta di risvolti volgari e riferimenti alla vita privata, del tutto inaccettabili e per di più falsi. Non mi stupirei, visto il clima, di vedere prima o poi anche attacchi magari sulle tendenze omosessuali di qualcuno”.
Le donne dunque non possano far carriera accademica e la loro vita sessuale è il pretesto per bloccarle.
Secondo il Centro Studi dell’Università di Trento in Italia solo il 21 per cento dei docenti di prima fascia è donna. Tra i laureati, le donne sono una vistosa maggioranza, il 61 per cento, ma tra quelle che scelgono la carriera accademica il 70 per cento si ferma sul gradino di assegnista di ricerca e solo il 10 per cento arriva a quello di Professore ordinario. Per gli uomini, le percentuali sono rispettivamente il 51 e il 25.
Lo squilibrio di genere allora esiste in Italia e ora, grazie al rettore, sappiamo anche come è successo: “in parole povere, dando della mignotta a chiunque aspirasse a un salto di qualità”.
“Sembrerebbe naturale che il modo più efficace per bloccare la carriera di una donna sia attribuirle storie boccaccesche, vere o inventate che siano”, e questo non solo è triste e deprimente, ma anche scandaloso e vile.
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