Non si placa la polemica sulla questione dei rilevatori di impronte digitali per il controllo della presenza in servizio dei dirigenti scolastici.
Attraverso le loro associazioni (ANP e ANDIS in particolare) i dirigenti scolastici stanno protestando vivacemente puntando molto soprattutto su un aspetto: il contratto nazionale dei dirigenti non prevede un orario di servizio preciso e quindi ogni forma di controllo sulla presenza in ufficio risulta del tutto illegittima.
Tralasciando questo aspetto, su quale giudici del lavoro e studi legali si potranno esercitare nei prossimi mesi, ci sono però alcune questioni pratiche apparentemente secondarie che però potrebbe mettere in forse l’applicazione del provvedimento.
Il primo problema è, banalmente, di natura economica: solo nella scuola le sedi da attrezzare per la rilevazione delle presenze sono più di 40mila; ma il provvedimento riguarda tutto il pubblico impiego e quindi è si può presumere che gli impianti da installare siano almeno 60-70 mila. La legge però stanzia solamente 35 milioni di euro che sembrano largamente insufficienti per realizzare la novità.
C’è poi una seconda questione non del tutto irrilevante: la legge esclude i docenti dalla misura; quindi nella scuola si creerà una situazione quanto meno paradossale: i dirigenti saranno sottoposti al controllo biometrico mentre non lo saranno i docenti con incarico di vice-preside e di collaboratore del dirigente con esonero dall’insegnamento per una parte dell’orario.
E’ probabile che la minsitra Bongiorno e il suo staff non abbiano riflettuto adeguamente su questo: nulla di male, per carità, ma forse prima di legiferare sulla scuola non sarebbe male raccogliere dati e informazioni su come funzionano le cose fra le pareti scolastiche.
O è chiedere troppo?
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