A proposito delle nuove norme che la ministra Giulia Bongiorno vorrebbe introdurre per controllare gli orari dei dipendenti pubblici, la Flc-Cgil non va tanto per il sottile e usa termini duri.
“Si tratta di norme poliziesche che offendono i lavoratori del pubblico impiego” sostiene il sindacato di Francesco Sinopoli che aggiunge: “L’articolato del DdL Concretezza nasconde dietro ad alcune buone intenzioni, un impianto autoritario pericoloso, perché incentrato sul controllo dei dipendenti del pubblico impiego”.
“E’ singolare che per varare il piano triennale della concretezza nel pubblico impiego sia necessario coordinarsi con il Ministero dell’Interno – osserva la Flc – questo particolare, non secondario, chiarisce fin dall’inizio l’aspetto ‘poliziesco’ del piano. E’ preoccupante l’interesse al controllo ‘biometrico’ delle presenze anche se per il personale docente ed educativo si demanda l’attuazione ad un decreto del Miur. Simili interferenze sono lesive dell’autonomia organizzativa delle scuole oltre che funzionali ad una propaganda politica, falsa ed ingiustificata, che si iscrive dentro l’onda lunga della denigrazione del lavoro pubblico”.
“Siamo doppiamente preoccupati – conclude il sindacato di Sinopoli – perché l’organizzazione del lavoro, dunque anche il ‘controllo’, è materia contrattuale e in sede contrattuale deve essere trattata, non può essere definita per legge. Con questi interventi si riducono gli spazi di contrattazione delle Rsu che abbiamo conquistato con tanta fatica”.
Per la verità la proposta della ministra Bongiorno appare più che altro di difficile attuazione, almeno nella scuola.
Intanto c’è una questione generale, che riguarda però tutto il pubblico impiego: ma siamo sicuri che la rilevazione delle presenze mediante dati biometrici sia considerata lecita dal Garante per la Privacy? La normativa in merito è ispirata la cosiddetto principio di necessità: si possono trattare dati personali solo se questo è indispensabile, ma in questo caso sorge il dubbio che la rilevazione delle presenze potrebbe essere adeguatamente condotta con strumenti meno invasivi.
Nella scuola c’è poi un ulteriore problema: le sedi scolastiche sono complessivamente 40mila e fornire a tutte la strumentazione necessaria per rilevare le impronte digitali del personale potrebbe rivelarsi eccessivamente oneroso (approssimativamente si può ipotizzare una spesa non inferiore a 80-100 milioni di euro all’anno): a meno che l’idea non sia quella di scaricare i costi sulle scuole e sugli Enti locali.
Un fatto è certo: il provvedimento a cui sta pensando la ministra Bongiorno incontrerà non pochi ostacoli per essere realizzato.
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