E siccome le scuole cattoliche non sono gratuite sono già in rivolta: “Nessuna scuola è gratuita, i docenti chi li paga? Con quali soldi? Tutte le scuole sono in fallimento, le chiuderemo in un anno, licenzieremo 200 mila persone, così tutti quanti saranno contenti”. Le scuole gestite dai cattolici mettono avanti i numeri e le spese che devono affrontare.
A fare la cronistoria del problema è il Messaggero, che scrive: “La legge istitutiva dell’Ici, confermata su questo specifico punto quando il tributo comunale è stato trasformato in Imu, prevedeva l’esenzione per gli edifici di culto. Ma nel corso degli anni sono rimasti incerti i criteri con cui il beneficio doveva essere applicato alla generalità dei soggetti no profit (compresi sindacati, partiti e altre associazioni).
Nel 2004 una sentenza della Cassazione ha precisato che le attività assistenziali, sanitarie, didattiche culturali o di altro tipo, per quanto esercitate da enti no profit, dovessero comunque avere un carattere non commerciale. Sono seguite diverse interpretazioni dei governi che si sono succeduti, fino all’avvio di varie procedure di infrazione a livello europeo, l’ultima delle quali a fine 2010: l’obiezione di Bruxelles è che l’esenzione dal tributo rappresenta un indebito vantaggio rispetto alle altre imprese.”
Ma qual è il requisito per definire una attività commerciale no profit?
“C’è il divieto di distribuire utili, l’obbligo di reinvestire gli avanzi di gestione nell’attività di solidarietà, e ancora l’obbligo, in caso di scioglimento dell’ente non commerciale, di devolvere il patrimonio ad un altro ente analogo. Ma ci sono anche requisiti più specifici relativi alle diverse attività. Così per quelle sanitarie si richiede la gratuità delle prestazioni in convenzione con il servizio sanitario nazionale oppure, se la convenzione non c’è, il versamento al massimo di corrispettivi simbolici, ossia pari a non più di metà dei prezzi di mercato praticati nello stesso ambito territoriale.”
Per le scuole, devono essere garantiti la non discriminazione al momento di accettare gli alunni, il rispetto dei contratti di lavoro; si parla poi di nuovo di rette simboliche, che coprano «solo una frazione del costo effettivo del servizio».
Infine c’è il problema di distinguere attività svolte in modo misto all’interno dello stesso immobile.
Sta di fatto comunque che le scuole paritarie non potranno mai chiedere rette simboliche né potrebbero mai stabilizzare e mettere in regola i docenti e il personale se non hanno introiti in forma di rette e contributi. A parte tutti i soldi che sono necessari per portare avanti la scuola.
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