È il suono dell’imzad, un violino a corda unica suonato esclusivamente dalle donne tuareg in Algeria. Secondo un’antica tradizione, l’uomo che avesse l’ardire di tenerlo tra le mani corre il rischio d’incorrere in una terribile maledizione.
Lo strumento è sparito dall’orizzonte culturale e quotidiano delle più giovani generazioni tuareg e per questo Khoulene Alamine ha deciso di assumersi la responsabilità di riportarlo in auge: “Ai giovani oggi interessano solo i telefonini e la televisione. Quando ero giovane – ricorda – vivevo nel deserto e avevamo il tempo di imparare a suonare e ad amare l’imzad”.
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Le armoniche discrete e malinconiche dello strumento tradizionalmente accompagnavano canzoni e poesie dedicate al culto degli antichi eroi tuareg. Ma l’imzad veniva anche impiegato per serate di corteggiamento che si allungavano sensualmente nel corso della lunga notte del deserto. Eppure, all’inizio del nuovo millennio, solo due donne in Algeria sapevano ancora suonare quello strumento.
Nel 2003 venne lanciata l’associazione “Salvare l’imzad” e adesso si trova inserito nella lista del patrimonio culturale mondiale dell’Unesco.
“Per noi tuareg, l’imzad è il migliore strumento musicale del mondo” sottolinea Sedik Khetalli, uno dei fondatori di “Salvare l’imzad”. “È un’espressione di storia, di violenza e di pace. È un’espressione della nostra cultura”.
L’associazione mette a disposizione un studio di registrazione, una scuola di danza tradizionale, una sala per i concerti e un laboratorio artigianale per la costruzione degli imzad. I gusci di zucca essiccati usati per gli imzad spesso vengono dagli stessi orti del centro culturale.
Ora l’imzad ha di fronte a sé il compito forse più impegnativo della sua storia, vincere la sfida della modernità in nome della millenaria cultura tuareg.
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