In America, come è noto, i «test standardizzati» sono il cardine per garantire condizioni di elaborazione e valutazione uguali per tutti gli studenti, a prescindere dall’istituto scolastico o lo Stato da cui provengono, e oggi si elaborano sul computer. Però da qualche tempo sono sempre più coloro che li giudicano inefficaci, costosi e inadeguati, fino ad arrivare alla ribellione e al boicottaggio. La notizia è sul Corriere della Sera dove si legge che il movimento che rifiuta queste prove di valutazione si espande a macchia d’olio, scavalca i confini statali e diventa trasversale: partito dai genitori, ha trovato il supporto del sindacato degli insegnanti e pare ora guidato dagli studenti stessi. Ciò che non va nei test è presto detto: sono deboli e inefficaci, innanzitutto, nel riuscire a valutare davvero le capacità degli studenti. E poi sono costosi, togliendo risorse per sviluppare metodi d’insegnamento e di valutazione creativi, che riescano a coinvolgere maggiormente gli studenti rispetto a un test a risposta multipla, mentre, se non determinano la promozione degli studenti, giocano un ruolo decisivo nelle possibilità che questi hanno di beneficiare di programmi e aiuti speciali. E incidono sulla valutazione degli insegnanti, di quanto sono stati bravi con i propri alunni, che negli Stati Uniti vuol dire: incidono sul loro salario. Partita la protesta dallo stato del New Jersey, a febbraio la Commissione Educazione dell’Assemblea dello Stato ha votato all’unanimità tre proposte di legge: moratoria di tre anni sui test; divieto di sottoporvi bambini dall’asilo fino al secondo grado (8 anni d’età), e libertà dei genitori di non farli fare ai figli. Inoltre, scrive sempre il Corriere, il più grande sindacato degli insegnanti ha promosso una serie di feroci spot alla tv anti-test standardizzati ed è pure arrivata un’istanza affinché stabilisca nuove regole per uniformare il modo con cui i genitori possano rifiutare di far sottoporre i figli al test. Da noi sono arrivati solo da qualche anno con l’introduzione dei questionari Invalsi e continuano a suscitare grosse diffidenze, ma non pare tuttavia che impensieriscano i capitani della nave del Miur. Anzi si procede a tutto vapore, forti proprio dell’esperienza americana che detta legge, oltre che nell’economia, anche nelle cose della scuola, didattica compresa. Ma se l’America frana, come è successo con il contagio delle banche, forse qualcuno comincerà a riflettere: chissa?
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