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In aumento il fumo tra i giovani: è allarme sanitario

Sale in Italia il numero di fumatori nelle fasce d’età giovanili. Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2004 la percentuale dei fumatori maschi nella fascia d’età 11-14 anni era del 2,9%, mentre nel 2005 sale al 4,5%. Non va meglio nemmeno nella fascia under 25: in un solo anno si è passati dal 19 al 20% circa. Anche le donne 11-14enni non si sottraggono alla sigaretta: 0,4% di incremento in soli 12 mesi. Il dato è sicuramente allarmante e lo diventa ancora di più se si incrocia con un recente studio condotto in Gran Bretagna su oltre 15mila persone e pubblicato sulla rivista Torax, secondo cui l’inizio del fumo nell’adolescenza non solo porta a fumare di più nella vita (chi inizia prima ha poi maggiori difficoltà a smettere), ma costituisce un fattore di rischio indipendente di sviluppo di malattie respiratorie, soprattutto nella donna.
“E’ stato evidenziato da studi epidemiologici – spiega il prof. Lorenzo Corbetta dell’Università di Firenze – che la broncopneumopatia è un problema non trascurabile anche in età giovanile: il 10% dei giovani tra i 20 e i 44 anni presenta tosse ed espettorato senza ostruzione bronchiale e il 3,6% presenta sintomi con ostruzione bronchiale. Inoltre nel 75% dei casi i malati di questa malattia non sanno di esserlo, per cui giungono dal medico solo quando la malattia è grave”.
L’aumento di assunzione di fumo tra le fasce più giovanili desta non poche preoccupazioni.
“E’ bene ricordare – ha detto Leonardo Fabbri, vicepresidente della European Respiratory Society (Ers) e presidente del congresso di aggiornamento annuale delle linee guida per la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) che riunisce i massimi esperti nazionali e internazionali – che nella fase di sviluppo dell’essere umano, tutto ciò che porta ad una riduzione della funzione respiratoria è poi fattore di rischio per la Bpco. E il fumo di sigaretta è il principale killer dei nostri polmoni, sia quello attivo che quello passivo”.
Oggi in Italia vi sono 2,6 milioni di persone costrette a respirare male: se non viene diagnosticata infatti questa malattia, alla quale l’Oms dedicherà, il 16 novembre, la Giornata Mondiale, può condannare alla bombola d’ossigeno e a frequenti ricoveri in ospedale. “Dal 1965 al 1998 – afferma il Salvatore D’Antonio, dirigente medico dell’azienda ospedaliera S. Camillo Forlanini e presidente regionale dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri del Lazio – secondo i dati americani tutte le malattie sono in diminuzione: coronaropatia -59%, infarto -64%, altre malattie cardiovascolari -35%, tutte le altre cause di morte -7%. L’unica malattia che ha avuto incremento è la broncopneumopatia cronica: +160% di mortalità”.
Un dato che dovrebbe far riflettere e attivare le istituzioni, come la sanità e la scuola, ma anche le famiglie e i giovani interessati. Ogni anno in Italia finiscono in corsia 130mila italiani (18mila sono i morti ogni anno), per un totale di circa 1milione di giorni di degenza, con una durata media di circa 10 giorni. La spesa annuale per paziente è in media di 1.300 euro all’anno con punte, per le forme gravi, di 6mila euro. Come se non bastasse, la medicina ha anche stabilito che di broncopneumopatia cronica non si guarisce: si può controllare con terapie farmacologiche, ma la qualità della vita è compromessa per sempre: con l’avanzare dell’età diventa difficile salire le scale, camminare, a volte anche parlare, costringendo il malato all’isolamento sociale e impedendogli di svolgere il proprio lavoro e le normali attività quotidiane. Qualcuno comincia a parlare a tutti gli effetti di invalidità permanente causata da funo. Ma i giovani non sembrano rendersene conto.
 
Alessandro Giuliani

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