Gli alunni disabili sono in continuo aumento.
I dati lo confermano da tempo e sono incontrovertibili.
Ma quali ne sono le cause?
Ne parliamo con Raffaele Iosa, ispettore tecnico in pensione, da sempre studioso dei problemi dell’inclusione, è stato anche per diversi anni il responsabile dell’Osservatorio nazionale sull’handicap istituito presso il Ministero dell’Istruzione
Allora, ispettore, come si spiegano questi numeri ?
E’ una tendenza che va avanti da almeno 10 anni. Ed è una tendenza che conferma un’epoca che continua a certificare ogni imperfezione.
E’ cambiato l’approccio delle famiglie e della società nei confronti della idea di benessere: ormai ogni dolore, ogni complessità provoca una risposta medica.
Questo approccio non riguarda solo i bambini ma coinvolge tutti.
Facciamo un esempio
C’è un esempio classico: da poco l’OMS ha legittimato la ludopatia come malattia, anche se a mio parere va considerata un vizio. Ma definirla malattia comporta la conseguenza di eliminare il principio di responsabilità e – in definitiva – facendo anche venir meno il senso di colpa.
Quindi non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano…
No, assolutamente. E’ un tema europeo e americano ed è ben descritto in un bellissimo saggio di Frank Furedi, “Il conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana”.
La tendenza è chiara: a differenza di 30 anni fa, le famiglie sono portate oggi a ricercare una certificazione per tutelare il proprio bambino.
Sta cambiando l’antropologia della persona: non si comprende più l’imperfezione.
E quindi?
Certificare l’imperfezione ha una conseguenza importante: si abbassano le attese sulla persona. Un po’ come capita con gli alunni con DSA dei quali spesso si dice: “Fa quello che può, non si può pretendere di più”.
E le famiglie si adeguano al “meglio un po’ malato che bocciato”
Senza considerare che rendere tutto diagnosi determina anche un’altra conseguenza: si tende a clinicizzare tutto, agli insegnanti si chiede di togliersi il grembiule e mettersi il camice. In questo modo, la lettura che si fa della persona è anche esattamente l’opposto di quello che prevede il modello dell’ICF
Cioè?
Il modello dell’ICF prevede una lettura sistemica: la disabilità deve essere interpretata in relazione al contesto ambientale in cui la persona vive.
E’ anche vero, però, che i disabili necessitano di attenzioni e interventi specifici
Bisogna fare attenzione, perché tecniche, metodi, strategie e programmi specifici portano ad un effetto paradosso: si perde di vista il contesto, la relazione, il rapporto con i compagni, il senso del gruppo classe una didattica integrata e in definitiva diminuisce l’inclusione e si pratica l’ “isolazione”.
Ma ormai gli insegnanti sanno bene che i disabili devono stare in classe con i loro compagni
Certo, il bambino certificato sta in classe (quando ci sta) ma in qualche modo si pensa che per lui serva una didattica speciale; ecco, io penso che questa sia l’anticamera del ripristino delle scuole speciali, non domani magari ma ormai la tendenza è questa
Torniamo al problema dell’aumento del numero di certificazioni.
L’aumento è generalizzato o riguarda alcune tipologie in particolare?
L’aumento delle certificazioni è su tre aree: la prima è quella dell’intelligenza e infatti oggi si parla sempre più spesso di ritardo mentale lieve e non si interpreta più l’intelligenza nella sua pluralità, come ci ha spiegato Gardner; l’intelligenza torna ad essere misurabile e per i bambini con ritardo ci si limita a lavorare sugli obiettivi minimi.
Poi ci sono i disturbi di comportamento, per esempio la sindrome ADHD e il comportamento oppositivo provocatorio.
La terza tipologia riguarda l’area della comunicazione: autismo e mutismo elettivo.
Se ci facciamo caso sono esattamente le tre barriere contro le quali la scuola combatte addirittura dall’ 800.
Pensiamo a tre tipologie, ben descritte anche nel libro “Cuore” di De Amicis, di bambini che in qualche misura hanno difficoltà ad adeguarsi al mainstream ricorrente: il bambino poco intelligente , il bambino cattivo e il bambino poco comunicativo.
Per essere accettati e accettabili è invece necessario avere un po’ di intelligenza, essere abbastanza gentile per poter andare d’accordo con i compagni e riuscire a parlare un po’ tutti.
A questo punto ci indichi una via d’uscita
E’ difficile, perché ormai siamo di fronte ad un cambio drammatico di paradigma.
Nelle mie conferenze parlo sempre più spesso di “pedagogia dell’imperfezione”: non solo la scuola ma tutta la società deve tornare ad accettare in qualche modo l’imperfezione.
Non dimentichiamo che il grande psicologo e pedagogista Vigotsky definiva la dislessia un”difetto” e non un disturbo.
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