Tuttavia, come si dice: il dado è tratto e un esercito di aspiranti professori è in marcia verso un posto sicuro e soprattutto verso la realizzazione di un progetto di vita e pure di una aspirazione-vocazione per lo più sentita, crediamo: quella di svolgere il mestiere più bello del mondo che è appunto insegnare.
E che sia il lavoro più bello lo dice anche la parola stessa che sta dietro all’insegnare: maestro. E maestri furono e lo sono ancora i grandi artisti, i creatori di fantasie e i ricercatori all’interno dell’animo dell’uomo. Maestro chiavano gli apostoli Gesù, Rabi, perché aveva tanto da insegnare e da ammaestrare e la sua parole si fece Verbo, lo stesso Verbo-Parola che fu all’origine del mondo e col quale il Caos fu diradato.
Con ogni probabilità quando si parla di insegnanti e di professori, di scuola e di istruzione bisognerebbe tenere in conto questo inizio biblico che Lutero tradusse in modo lapidario: Am Anfang war das Wort, all’origine fu la Parola. E sulle parole si sta basando questo concorso, ma strampalato, e incentrato sulla velocità di definire, all’interno di un caotico questionario, una frase, un concetto, un’idea e pure un significato preciso. E di definirla con una crocetta, una ics simile a quella con cui gli analfabeti firmavano gli atti.
Immaginiamo Leonardo Sciascia, il maestro delle Parrocchie di Regalpietra, impegnato in una simile competizione. Chi non lo darebbe già per spacciato, uno fra 321.209 concorrenti? Ma pure Bufalino era insegnante, di liceo, ma professore anche lui: sarebbe stato promosso davanti al freddo schermo di un ansioso computer e inseguito sia dall’orologio e sia dei vigilanti e sia dal rumoreggiare dei suoi colleghi in attesa del loro turno? Chissà? Forse non si sarebbe neanche presentato e forse magari, sulla spinta di una sconfitta, immeritata, avrebbe scritto “Le Menzogne del ministero” piuttosto che “Le Menzogne della Notte”.
In ogni caso due giorni di purgatorio attendono i trecentomila, giovani e forti, concorrenti, anche se non tutti giovani e non tutti forti, ma uniti dalla comune trincea per un posto di lavoro.
E anche del lavoro e del suo nobile spirito creativo si capisce ormai benissimo che sono in molti a dimenticarne la sacralità, considerando che Dio stesso lavorò per sei giorni e al settimo si riposò; e in quel riposo dalla fatica c’è tutto il messaggio biblico nei confronti della fatica che nel suo espletamento sereno e consapevole unisce il divino all’umano, rendendo ancora di più l’umanità degna del suo Creatore.
Ma anche queste sono parole, simili nella struttura, non nel significato, delle altre che i concorrenti domani troveranno pronti a farsi beffa di loro, non di tutti, ma in ogni caso saranno beffardi e talvolta pure ingiuriosi dell’intelligenza e delle bravura, manifesta o meno, di tanti docenti che con sacrificio, costanza, volontà hanno studiato e si sono preparati.
A tutti loro ancora una volta: in bocca al lupo e che crepi.
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