In che modo gli insegnanti percepiscono la loro professione? Ha sottoposto loro questa interessante domanda l’Ocse-Talis in un’indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento (Teachers and learning international survey) condotta in 23 Paesi del mondo, Italia inclusa, che ha messo in un data base le dichiarazioni di un campione significativo di insegnanti e presidi di scuola superiore di primo grado.
I risultati sono stati sorprendenti e a tratti anche contraddittori. Innanzitutto i docenti italiani sono quelli più soddisfatti del lavoro svolto in classe. Il 95% dei docenti di scuola media dichiara, infatti, di essere appagato del proprio lavoro anche in relazione al clima disciplinare in aula e al rapporto con gli studenti. Nella classifica internazionale gli italiani registrano 6 punti percentuali in più rispetto alla media (89,6%) seguiti dai colleghi sloveni, belgi, messicani, bulgari e austriaci.
Quando però viene chiesto ai docenti italiani quale rapporto hanno col tempo del loro lavoro, la risposta sorprende: si lamentano di dover utilizzare il 14% del tempo, una percentuale alta, per mantenere l’ordine in classe. E questo influisce, vien da dire, sulla qualità dell’insegnamento.
Poi scopriamo che quello dei professori è diventato un lavoro quasi impiegatizio: infatti più alto della media dei 23 Stati è anche il tempo che è sottratto all’insegnamento per espletare troppi adempimenti burocratici (8,8%).
Alla domanda “Quanto ritieni efficace la tua attività pedagogica e didattica?” i professori italiani, tenendo presenti alcuni parametri significativi (l’insegnamento produce significativi cambiamenti nella vita dei propri studenti; si riesce a far progredire anche gli studenti più difficili e non motivati; si ha successo con gli studenti nella propria classe; si riesce a mettersi in relazione con gli studenti; si crea una piacevole atmosfera di apprendimento;non si deve perdere molto tempo all’inizio della lezione, per avere degli studenti “tranquilli”;non si perde tempo a causa di studenti che interrompono la lezione) hanno risposto esprimendo parecchia soddisfazione, al punto che sono secondi solo ai norvegesi.
I nostri docenti, inoltre, partecipano poco alle attività di formazione e dunque esprimono una diffusa domanda di formazione, superiore di 10 punti alla media dei colleghi delle altre Nazioni. Per loro rappresentano delle priorità: l’insegnamento a studenti con bisogni speciali (35,3%), l’esigenza di migliorare la pratica didattica (34,9%), l’accrescimento delle competenze nel proprio ambito disciplinare (34%).
Giunti poi alla spinosa questione della valutazione, per quanto riguarda la valutazione interna quasi la metà degli insegnanti italiani è impegnata almeno una volta l’anno nelle pratiche di autovalutazione della scuola, livello simile alla media degli altri Paesi; ma le dolenti note tornano a farsi sentire per quanto attiene alla valutazione esterna:oltre il 60% dei nostri insegnanti non è mai stato coinvolto, mentre negli altri paesi il livello di quanti non hanno ricevuto mai una valutazione è mediamente intorno al 30%). L’11,3% è stato coinvolto una volta, il 14,6% da due a quattro volte, il 12,3% una volta all’anno, solo l’1% più di una volta all’anno.
E infine giungiamo al punctum dolens: la questione del merito. Quale riconoscimento concreto ha il lavoro del docente? Premi di natura economica o bonus sono mediamente attribuiti all’11% dei docenti, mentre la gratificazione, immateriale, per il pubblico riconoscimento del preside e dei colleghi che riguarda il 36,4% degli insegnanti dei Paesi presi in considerazione sale al 46,4% nel caso dell’Italia.
Dunque spesso la gratificazione è rappresentata solo da un riconoscimento pubblico, da un elogio. A questo sono abituati i nostri docenti.
Insomma gli insegnanti italiani sono bravi, bravissimi. Con le parole.