Home Archivio storico 1998-2013 Generico In che modo gli insegnanti percepiscono la loro professione?

In che modo gli insegnanti percepiscono la loro professione?

CONDIVIDI
In che modo gli insegnanti percepiscono la loro professione? Ha sottoposto loro questa interessante domanda l’Ocse-Talis in un’indagine internazionale sull’insegnamento e l’apprendimento (Teachers and learning international survey) condotta in 23 Paesi del mondo, Italia inclusa, che ha messo in un data base le dichiarazioni di un campione significativo di insegnanti e presidi di scuola superiore di primo grado.
I risultati sono stati sorprendenti e a tratti anche contraddittori. Innanzitutto i docenti italiani sono quelli più soddisfatti del lavoro svolto in classe. Il 95% dei docenti di scuola media dichiara, infatti, di essere appagato del proprio lavoro anche in relazione al clima disciplinare in aula e al rapporto con gli studenti. Nella classifica internazionale gli italiani registrano 6 punti percentuali in più rispetto alla media (89,6%) seguiti dai colleghi sloveni, belgi, messicani, bulgari e austriaci.
Quando però viene chiesto ai docenti italiani quale rapporto hanno col tempo del loro lavoro, la risposta sorprende: si lamentano di dover utilizzare il 14% del tempo, una percentuale alta, per mantenere l’ordine in classe. E questo influisce, vien da dire, sulla qualità dell’insegnamento.
Poi scopriamo che quello dei professori è diventato un lavoro quasi impiegatizio: infatti più alto della media dei 23 Stati è anche il tempo che è sottratto all’insegnamento per espletare troppi adempimenti burocratici (8,8%).
Alla domanda “Quanto ritieni efficace la tua attività pedagogica e didattica?” i professori italiani, tenendo presenti alcuni parametri significativi (l’insegnamento produce significativi cambiamenti nella vita dei propri studenti; si riesce a far progredire anche gli studenti più difficili e non motivati; si ha successo con gli studenti nella propria classe; si riesce a mettersi in relazione con gli studenti; si crea una piacevole atmosfera di apprendimento;non si deve perdere molto tempo all’inizio della lezione, per avere degli studenti “tranquilli”;non si perde tempo a causa di studenti che interrompono la lezione) hanno risposto esprimendo parecchia soddisfazione, al punto che sono secondi solo ai norvegesi.
I nostri docenti, inoltre, partecipano poco alle attività di formazione e dunque esprimono una diffusa domanda di formazione, superiore di 10 punti alla media dei colleghi delle altre Nazioni. Per loro rappresentano delle priorità: l’insegnamento a studenti con bisogni speciali (35,3%), l’esigenza di migliorare la pratica didattica (34,9%), l’accrescimento delle competenze nel proprio ambito disciplinare (34%).
Giunti poi alla spinosa questione della valutazione, per quanto riguarda la valutazione interna quasi la metà degli insegnanti italiani è impegnata almeno una volta l’anno nelle pratiche di autovalutazione della scuola, livello simile alla media degli altri Paesi; ma le dolenti note tornano a farsi sentire per quanto attiene alla valutazione esterna:oltre il 60% dei nostri insegnanti non è mai stato coinvolto, mentre negli altri paesi il livello di quanti non hanno ricevuto mai una valutazione è mediamente intorno al 30%). L’11,3% è stato coinvolto una volta, il 14,6% da due a quattro volte, il 12,3% una volta all’anno, solo l’1% più di una volta all’anno.
E infine giungiamo al punctum dolens: la questione del merito. Quale riconoscimento concreto ha il lavoro del docente? Premi di natura economica o bonus sono mediamente attribuiti all’11% dei docenti, mentre la gratificazione, immateriale, per il pubblico riconoscimento del preside e dei colleghi che riguarda il 36,4% degli insegnanti dei Paesi presi in considerazione sale al 46,4% nel caso dell’Italia.
Dunque spesso la gratificazione è rappresentata solo da un riconoscimento pubblico, da un elogio. A questo sono abituati i nostri docenti.
Insomma gli insegnanti italiani sono bravi, bravissimi. Con le parole.