Da un lato Stefania Giannini, Ministro dell’Istruzione e dall’altro Eraldo Affinati, scrittore e fondatore della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton, Irene Baldriga, dirigente del liceo Virgilio di Roma e Giovanni Biondi, presidente di Indire a confronto su la Buona Scuola.
Il dibattito è pubblicato da Vita.it
Stefania Giannini, rispondendo a Giovanni Bondi che si interroga sulla necessità di trovare una didattica diversa, rompendo l’inerzia, Giannini risponde: “La legge 107/2015 aveva l’intenzione di mettere in movimento il mondo della scuola. Quando si parte con un cambiamento così radicale, la prima cosa che si prende sono i fischi, la seconda le critiche, il dibattito costruttivo arriva in terza battuta. Io credo che ci siamo lasciati alle spalle le prime due fasi, stiamo entrando nella terza. Se dovessi scegliere alcune parole-chiave per sintetizzare lo spirito di questa legge, la prima è apertura. Tutte le novità metodologiche e di contenuto della legge vanno nella direzione di aprire le finestre della scuola, per fare entrare il mondo. Abbiamo bisogno che la scuola si contamini con quanto avviene nel mondo, creare collegamenti fra “dentro” e “fuori”. La ministra quindi continua dicendo: “La seconda parola è autonomia: autonomia nei fatti, che significa mettere ciascuno al volante della propria macchina. Chiedere autonomia è facile, ma quando ti ritrovi al volante c’è chi è pronto a guidare e chi ha bisogno della scuola guida: sono consapevole che esiste un pezzo di scuola che deve ancora “fare propria” questa legge e in questo senso la terza parola-chiave è la formazione degli insegnanti. Noi abbiamo la pena dell’agricoltore: oggi gettiamo il seme del cambiamento, ma per vedere un risultato occorre fisiologicamente attendere anni. Se c’è un coraggio che mi sento di attribuire a questo Governo è stato il coraggio di partire. Nessuno però ha l’illusione di dire abbiamo fatto la legge, stiamo lavorando ai decreti, a fine anno la partita è chiusa: davanti a noi c’è il tempo lungo della coltivazione”.
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A Irene Baldriga, per la quale il punto debole è stata la mancanza di preparazione dei docenti a recepire tutte queste novità, il loro significato, Giannini risponde: “Avevamo due alternative: iniziare da un piano permanente e strutturale di formazione obbligatoria e cambiare la scuola alla prossima legislatura, oppure avviare subito il cambiamento, correndo il rischio che all’inizio gli insegnanti non capissero o si sentissero deboli nell’affrontare novità come il Piano nazionale scuola digitale o l’alternanza scuola lavoro. Abbiamo scelto la seconda via. Ora il piano nazionale di formazione degli insegnanti è pronto. Si tratta di una formazione strutturale e permanente, obbligatoria, dove l’aggettivo indica non tanto il “dovere” quanto il riconoscere agli insegnanti — stiamo parlando di un milione di persone — il diritto di essere formati. Questo piano di formazione, dotato di risorse importanti, diventerà la cinghia di trasmissione del cambiamento. Le priorità saranno abbinate alle priorità della legge: ad esempio il Piano nazionale scuola digitale e le lingue, che sono il passaporto per la socializzazione in una società globale”.
A Eraldo Affinati che solleva il problema è l’integrazione degli alunni stranieri, creando osmosi tra la scuola e i territori, la ministra ha risposto: “Vogliamo fare esattamente questo, superare le esperienze eccellenti ma atomiche, senza collegamento. Il collegamento non c’era perché mancava la formazione strutturale e permanente, è questo che collega tutte le buone pratiche della scuola italiana fra loro e che le indirizza. Lei ha parlato di questa esperienza che avete fatto nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro: ogni volta che mi si chiede qual è la cosa più importante nella Buona Scuola, io dico quella. Purtroppo l’alternanza è entrata nel dibattito dalla porta “aziendalistica”, ci hanno accusato di mandare i ragazzini a fare lavoro minorile in azienda. No, scuola lavoro è quello che ha detto lei, è mettere a capitale le esperienze di integrazione fra ciò che c’è dentro la scuola e ciò che c’è fuori, le imprese ma anche le realtà che fanno cultura, le associazioni che si occupano delle sfide sociali, il volontariato… stiamo cercando di creare queste reti. Gli strumenti ci sono e anche le risorse: mettiamo strutturalmente 40 milioni all’anno nel bilancio del ministero per la formazione e 100 per l’alternanza. C’è una potenzialità enorme, lei chiedeva se ne siamo consapevoli… io lo sono. La valorizzazione del merito è una competizione perché ciascuno sia portato a dare il meglio. E poi a far sì che tutti si ispirino a quel “meglio”.
Sul tema della dispersione, sollevato da affinati, Giannini afferma: “Ancora una volta il problema è che abbiamo un modello di scuola novecentesco, mentre la società ha fatto un balzo in avanti di cent’anni. Non le posso dire che c’è una misura contro la dispersione scolastica, io le dico che tutta la Buona Scuola è contro la dispersione scolastica, con tutti i 4 miliardi che abbiamo messo nella legge. In passato non abbiamo investito adeguatamente sulla professionalizzazione che la scuola deve dare ai ragazzi che di fronte alla lavagna e al libro dopo alcuni anni non ci stanno più: devi offrire loro un altro modello. La delega sulla formazione professionale, reintroducendo i laboratori — i laboratori, si, che erano stati tagliati persino dagli istituti professionali — e facendo sì che pratica e teoria entrino strutturalmente in tutte le scuole, sono ricette per combattere la dispersione. Vorrei citare anche il progetto ScuolaAlCentro, nato dall’idea che la scuola non può e non deve lasciare soli i ragazzi né sospendere il suo ruolo durante l’estate, che è quello di essere il punto di riferi- mento di una comunità: siamo partiti con 400 scuole in quattro città con 5,8 milioni di euro spesi. Ne avevamo stanziati 10, ciò che resta è a disposizione subito, più altri 120 milioni, perché vogliamo che questa esperienza continui tutto l’anno, in tutto il Paese. Stiamo dando l’opportunità alla scuola di essere vissuta dai ragazzi per quello che è, la propria casa. È questa l’idea di scuola che sogniamo”.
Il tema del contratto e il lavoro degli insegnanti Giannini replica: “È la cosa che più mi lascia insoddisfatta di quanto abbiamo fatto in questo anno. Il potenziamento dell’organico significa dare alle scuole un capitale umano qualificato in più, una squadra più forte. Questo è un primo passo, ma bisogna arrivare a ripensare contrattualmente l’impegno, la tipologia, la quantità e anche il compenso del lavoro degli insegnanti. Lo dico con franchezza, io ero per l’introduzione del concetto di carriera, con una differenziazione anche dal punto di vista stipendiale. Non so se qui abbiamo avuto un po’ meno coraggio, forse coraggio non c’è stato nemmeno da parte delle organizzazioni sindacali, quell’apertura necessaria per sedersi attorno a un tavolo. Questo passaggio non è stato affrontato, però mi sembra che abbiamo creato le premesse: chi farà questo nobile mestiere più avanti lo dovrà affrontare.
Mentre sulla qualità del lavoro dell’insegnante e la chiamata per competenze, che valorizza anch’essa la professionalità dell’insegnante, riconoscendo le esperienze e il percorso di crescita dei docenti, Giannini risponde: “Intanto chiamata per competenze, non chiamata diretta come spesso la si chiama: credo che in questa definizione si concentri il senso dell’operazione. Abbiamo dato ai dirigenti strumenti precisi di collegamento tra il fabbisogno della scuole e ciò che i vincitori di concorso — diciamolo chiaramente, sono tutti vincitori di concorso — sono in grado di fornire, assumendo anche il desiderio dell’insegnante di lavorare in quella scuola perché sente che lì la sua competenza può essere valorizzata. È un meccanismo che sostituisce virtuosamente il precedente, basato su graduatorie gestite in maniera meccanica, in cui la scuola restava un soggetto estraneo. I criteri di scelta saranno
indicati chiaramente, esposti, il rischio di una presunta discrezionalità e soggettività dei dirigenti è minimo… io credo sia una innovazione molto importante. Quanto alla valorizzazione del merito, non è una competizione tra pari ma di ciascuno per dare il meglio: l’effetto antropologicamente naturale dovrebbe essere che tutti si ispirano a quel “meglio”. La scuola non si può permettere di restare chiusa nel suo mondo, l’idea di apertura che si combina con l’autonomia è questa: tu devi competere alle stesse regole con cui compete la società, per arrivare a quelle sfide inclusive che sono la tua missione. Questa è la chiave di comprensione di tutta la Buona Scuola.
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