Dopo l’esaltazione acritica durante lo scorso lockdown, a partire all’incirca da luglio scorso la didattica a distanza è diventata il bersaglio privilegiato di molti di coloro che siedono ad un posto di comando in Italia: le ultime tappe di questa denigrazione sono il proposito del presidente Cirio a recuperare in primavera i giorni «persi» di didattica in presenza e la dichiarazione del
presidente del Cts Agostino Miozzo secondo il quale «è più facile che uno
studente risulti contagiato da Covid-19 se non frequenta la scuola e fa
didattica a distanza piuttosto che il contrario».
Affermazioni come queste riposano su presupposti impliciti che vogliono
contribuire a rafforzare pur senza enunciarli direttamente:
la didattica a distanza è un’inutile perdita di tempo;
gli studenti lasciati in balia di se stessi (o delle loro famiglie), lontani dal
controllo diretto e occhiuto dell’insegnante, non sono capaci di regolarsi, e di conseguenza, finiscono per affollarsi nei vari luoghi di ritrovo, o in quei centri commerciali che il dottor Miozzo dipinge come temibili focolai di contagi.
Non ho gli strumenti per contrapporre a queste prese di posizione un’analisi fondata sui dati (peraltro in larga parte non disponibili), se non facendo riferimento all’unica analisi documentata che conosca, quella pubblicata da Wired il 30 novembre 2020; per le considerazioni sulla didattica a distanza e gli stereotipi sugli studenti posso però almeno presentare, per quello che vale, la mia esperienza personale di insegnante di scuola superiore: e proprio per questo li difendo.
Per quanto riguarda la didattica a distanza, non ci sono stati «giorni persi» di scuola: personalmente ho sempre lavorato, come e più che in presenza, ora come nel precedente lockdown, e i ragazzi hanno seguito le lezioni, hanno fatto i loro compiti, hanno espresso dubbi e curiosità, hanno presentato un loro lavoro, sono stati interrogati… Niente di molto diverso dalla didattica abituale: sicuramente niente che possa essere qualificato come «tempo perso da recuperare».
Gli stereotipi poi sui giovani scapestrati e irresponsabili (o rovinati da famiglie altrettanto scapestrate e irresponsabili) meriterebbero di essere liquidati tout court come le «chiacchiere dei vecchi brontoloni» di un famoso carme di Catullo se non venissero da una fonte tanto autorevole: allora, per chi non ci avesse pensato, faccio presente che ammesso e non concesso che le scuole siano un posto sicuro, nella misura in cui lo sono, lo sono soprattutto perché la maggior parte dei ragazzi è seria e responsabile, perché per gli insegnanti, che devono gestire classi anche di 30 alunni, non è possibile tenere tutto e tutti sotto stretto controllo;
i ragazzi che seguono la didattica a distanza sono impegnati come durante la didattica in presenza: la mattina con le lezioni, il pomeriggio a fare compiti.
Naturalmente possono saltare le une e gli altri e andare a sbronzarsi con gli
amici: ma la stessa cosa possono fare con la didattica in presenza, e in un caso e nell’altro gli insegnanti si premureranno di avvertire le famiglie che il ragazzo non ha seguito le lezioni.
Lucia Galli
"Nelle more dell’emissione della nota M.I.M. sui termini, modalità e presentazione delle domande, da parte…
Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settantina di studenti di tre…
L’insegnante e scrittore Christian Raimo ripercorre con ‘La Tecnica della Scuola’ i motivi che hanno…
La rivista online La Scuola Oggi ha organizzato un dibattito pubblico sul tema “Aggressioni in…
In occasione della Giornata della Sicurezza nelle Scuole, il Ministero dell’Istruzione e del Merito d’intesa…
Nelle scuole della provincia autonoma di Trento sta per arrivare una grande novità: come annunciato…