Nel cinquantenario della morte di don Milani, ricominciano i fraintendimenti e le diffamazioni. Lo scrittore Walter Siti con la dedica al suo libro “Bruciare tutto”, lo fa diventare quasi un pedofilo, le stesse accuse – guarda caso – che gli venivano mosse dal mondo clericale che gli era contro e che lo confinò a Barbiana.
Ma proprio in questo posto sperduto, nel cuore del Mugello in Toscana, don Lorenzo sperimentò la sua rivoluzione pedagogica. Nella sua “Lettera a una professoressa” uscita postuma, egli accusa l’istituzione scuola di essere al servizio dei ricchi e non dei poveri. I figli dei contadini e degli operai, salvo poche eccezioni, venivano espulsi o bocciati senza pietà. Perciò egli dice che la scuola è come un ospedale che cura i sani e respinge i malati.
Si è fraintesa la sua esortazione a non bocciare con la deriva sessantina del “6 politico”. Non era affatto questa la sua intenzione. Non intendeva che andavano tutti promossi anche senza fare niente, al contrario i suoi alunni dovevano studiare più degli altri, faticare, per colmare gli svantaggi che avevano rispetto a chi possedeva più parole, perché era vissuto in un ambiente culturalmente elevato.
E’ ancora attuale don Milani? Direi di sì, perché l’obbligo d’istruzione e del successo formativo s’ispira a lui e alla sua lettura della Costituzione italiana. E ancora oggi la scuola espelle o boccia chi non ce la fa, mente don Lorenzo voleva che tutti potessero accedere democraticamente alla cultura.
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