Mentre i nostri scienziati e il governo discutono, il tempo passa e la fatidica data del 17 maggio si avvicina, senza sapere ancora come andrà a finire per alunni, genitori, personale e prof. Si riparte o non si riparte? E se si riparte, come si riparte? Di sicuro bisogna garantire a scuola due metri di distanza e non solo coi banchi ma anche con le mani, le braccia, le gambe dei ragazzi che hanno bisogno di muoversi, di contatti, odori, palpiti, ecc.
Se si esclude il doppio turno, seppure regolarmente pagato, anche ripartendo a settembre, come verrà organizzata altrimenti la scuola? Si sdoppieranno le classi in altre classi per mantenere le distanze? O si utilizzeranno anche i corridoi, le palestre (dove ci sono), le sale docenti, gli ingressi e le uscite? Di sicuro bisogna, gridano gli scienziati, evitare affollamenti. Come fare però non lo dicono, anche perché non è mestiere loro, ma degli addetti a queste cose. Chi però siano gli addetti non sappiamo. La protezione civile? Forse.
L’unica certezza per ora è l’incertezza, come incerta è la faccenda degli Eurobod in conflitto incerto, o amicizia incerta, col Mes che alcuni vogliono, stracciandosi le vesti, e altri aborriscono, rattoppandosi i vestiti. Si è aperta intanto una sartoria ma nessuno riesce a realizzare un vestito buono.
Intanto il governo di Parigi, la ville lumiere, ha deciso che le lezioni inizieranno in modo differenziato: «L’attuale situazione aumenta le disuguaglianze. Troppi bambini, soprattutto nei quartieri popolari e in campagna, sono privati della scuola senza avere accesso al digitale e non possono essere aiutati allo stesso modo dai genitori», dice Macron, e aggiunge che per tutti, studenti compresi, sarà obbligatoria la mascherina.
La Spagna, martoriata come noi, riapre le scuole entro fine maggio e in modo differenziato a seconda delle zone di diffusione del coronavirus.
In Danimarca, i ragazzi sono in parte già tornati a scuola e tutti riprenderanno entro il 20 aprile, con nuove modalità: distanziamento in aula, con almeno due metri tra un banco e l’altro, e un solo alunno per postazione. Durante la ricreazione è previsto il lavaggio delle mani in modo scaglionato e le autorità hanno autorizzato lezioni all’aperto, compatibilmente col meteo, per ridurre il tempo trascorso all’interno delle aule.
In Germania il rientro è indicato alla data del 4 maggio, a scaglioni a partire dai ragazzi delle scuole superiori, medie e dell’ultimo anno della primaria.
In Norvegia, invece, asili nido e scuole primarie sono già aperti dal 15 aprile.
E in Italia? Si diceva prima: è tutto incerto. Il 18 maggio o direttamente a settembre? Attendiamo le mosse del virus. E nell’attesa non è neppure chiaro con quali modalità si riprenderanno le lezioni in autunno. Qualcuno sibila che andare a scuola con le mascherine, come vogliono fare in Francia, da noi è improponibile: non si capisce il motivo, ma così è: prendere o lasciare. Il distanziamento personale? Anche questo appare non fattibile, per i motivi prima detti, anche se i bulli ne soffriranno.
E inoltre, mormorano altri ancora: “Come si può immaginare un ingresso ordinato e distanziato a scuola con 100, 200 o 300 bambini e ragazzi, magari sotto la pioggia? Alla fine delle lezioni, invece, si dovrebbero immaginare uscite differenziate per classi, scandite da una campanella che suonerebbe ogni 5 minuti e con lunghe file di 20/25 alunni aperte da una maestra che non riuscirebbe a vigilare sugli ultimi della coda, se si dovesse rispettare la distanza di 1 metro tra un bambino e l’altro”. Sante parole. Simile diniego per le lezioni all’aperto (meteo veritiero permettendo, e non quello delle allerte bugiarde), non contemplate “anche per motivi contrattuali e di sicurezza”.
E dunque? Bisogna attendere. Tranne che si fa come in Danimarca: in chiesa. Si chiede la licenza e si occupano perfino le cattedrali. E siccome di chiese abbondiamo, ma anche di conventi, chiostri, monasteri, basiliche e battisteri, almeno per una volta freghiamo i nostri amici europei che ci hanno sempre superato, al di là dei test Ocse-Pisa, e battuti nell’organizzazione degli eventi.
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