Un’interessante osservazione del quotidiano britannico “Telegraph” del 29 ottobre invita l’opinione pubblica a riflettere su un fenomeno sino ad oggi trascurato. Si tratta dell’aumento dei casi di bullismo a sfondo razzista nelle scuole: corrisponde, si chiede il quotidiano, ad un valido metodo di rilevamento degli stessi? In pratica, l’ipotesi dei giornalisti britannici è che la tendenza a collocare quasi tutti i litigi o le discussioni che avvengono tra gli studenti come dei gravi episodi di prevaricazione e di violenza psicologica potrebbe aver indotto ad ampliare arbitrariamente la portata del fenomeno. Influendo, di conseguenza, sulla determinazione di un clima di caccia alle “streghe”. I dati parlano chiaro: solo nel 2006-2007 ben 4.410 studenti britannici (di cui 440 iscritti alle elementari) sarebbero stati sospesi o espulsi dalle scuole per insulti o comportamenti razzisti.
“Gli insegnanti – ha commentato il 29 ottobre il Telegraph – sono diventata degli sceriffi e passano il loro tempo a compilare moduli nei quali scrivono i nomi degli allievi e la ‘battuta’ imputata“.
In Gran Bretagna tutto avrebbe avuto origine nel 2000, quando “Race Relation Act” ha deciso di introdurre l’obbligo per tutte le istituzioni pubbliche di eliminare le discriminazioni: alle scuole venne imposto di monitorare e intervenire su qualsiasi episodio di razzismo o presunto razzismo e di comunicarlo alle autorità competenti. Che si sono così improvvisamente moltiplicato. “Da allora – ha scoperto il quotidiano – ne sono stati registrati 280.000, con una media di 40.000 l’anno”. Il problema è che però ogni scuola che risulti inadempiente nell’indagare sugli episodi di razzismo rischia di essere considerata “tollerante” nei confronti delle discriminazioni. E quindi soggetta a sanzioni da parte dei responsabili dell’istruzione britannici.
In Gran Bretagna tutto avrebbe avuto origine nel 2000, quando “Race Relation Act” ha deciso di introdurre l’obbligo per tutte le istituzioni pubbliche di eliminare le discriminazioni: alle scuole venne imposto di monitorare e intervenire su qualsiasi episodio di razzismo o presunto razzismo e di comunicarlo alle autorità competenti. Che si sono così improvvisamente moltiplicato. “Da allora – ha scoperto il quotidiano – ne sono stati registrati 280.000, con una media di 40.000 l’anno”. Il problema è che però ogni scuola che risulti inadempiente nell’indagare sugli episodi di razzismo rischia di essere considerata “tollerante” nei confronti delle discriminazioni. E quindi soggetta a sanzioni da parte dei responsabili dell’istruzione britannici.
Il picco si sarebbe avuto proprio negli ultimissimi anni. Basti pensare che le segnalazioni delle scuole sempre più spesso coinvolgono le forze dell’ordine, chiamate ad intervenire per sedare gli animi: nel 2007/2008 la polizia è intervenuta 2.916 volte in relazioni ad episodi attribuiti a studenti tra i 10 e i 17 anni. Mentre solo due anni prima questo era accaduto appena 414 volte.
Secondo Martin Ward, segretario generale dell’Associazione dei Presidi scolastici, la conclusione è che si sia esteso il concetto di razzismo: “Certamente – ha spiegato il sindacalista dei dirigenti – ogni evento razzista deve essere trattato con prontezza, ma la definizione di razzismo può essere molto vaga, specie nel caso di bambini spesso molto piccoli che non hanno neppure la percezione di cosa via sia dietro ad alcuni termini“. Così un problema reale rischia di diventare più grande di quello effettivo. Alimentando, proprio a scuola dove dovrebbe accadere il contrario grazie alla presenza di educatori e personale preparato per gestire queste dinamiche, il clima di tensioni e rivalità.
Secondo Martin Ward, segretario generale dell’Associazione dei Presidi scolastici, la conclusione è che si sia esteso il concetto di razzismo: “Certamente – ha spiegato il sindacalista dei dirigenti – ogni evento razzista deve essere trattato con prontezza, ma la definizione di razzismo può essere molto vaga, specie nel caso di bambini spesso molto piccoli che non hanno neppure la percezione di cosa via sia dietro ad alcuni termini“. Così un problema reale rischia di diventare più grande di quello effettivo. Alimentando, proprio a scuola dove dovrebbe accadere il contrario grazie alla presenza di educatori e personale preparato per gestire queste dinamiche, il clima di tensioni e rivalità.