Il progetto è nato 13 anni fa da Sugata Mitra: un metodo pedagogico autodidatta secondo cui i bambini possono imparare da soli grazie alle tecnologie informatiche. Nel 2010 il pedagogo indiano è stato anche in una classe elementare di Torino dove ha dimostrato che con l’aiuto di un programma software gli scolari imparavano l’inglese.
Un computer collegato a internet non solo sostituisce l’insegnante, ma dà anche risultati migliori perché stimola automaticamente la creatività dei giovani cervelli. Con questo concetto, considerato rivoluzionario, il pedagogo Mitra si è aggiudicato un premio di un milione di dollari messo in palio da Ted, l’organizzazione no profit americana che, con piccoli eventi locali, promuove le menti più innovative del pianeta.
Il «Buco nel muro» del rione di Madangir, è una delle 70 stazioni di autoapprendimento infantile create nella capitale indiana. La maggior parte sono in aree degradate o negli slum, una è dentro il riformatorio. A livello nazionale ce ne sono circa 200, soprattutto nelle campagne dove non ci sono neppure elettricità e gabinetti.
Il prodotto-chiosco, che è stato brevettato, ha avuto successo anche all’estero. «Abbiamo aperto 100 punti nel Bhutan, il remoto regno himalayano famoso per aver inventato la felicità lorda interna» dice Purnendu Hota, uno dei ricercatori del team di Mitra che nel 1999 piazzò per gioco un Pc nel muro che divideva da una baraccopoli la prestigiosa scuola Niit (la fucina degli informatici indiani) dove insegnava.
Scoprì così che dopo poche ore i monelli dello slum sapevano muovere il mouse e dopo poche settimane avevano imparato a usare il computer senza alcuna guida, solo aiutandosi a vicenda.
Da allora Mitra ha avviato una serie di esperimenti in tutto il mondo e ha sempre trovato conferma alla sua tesi della «minimal invasive education», l’educazione minimamente invasiva. L’affascinante storia del «Buco nel muro» è stata raccontata in un libro dello stesso Mitra (tradotto in italiano) e in un documentario codiretto da Gill Rossellini, il figlio adottivo del regista Roberto scomparso nel 2008. E ha ispirato il libro del diplomatico indiano Vikas Swarup «Le Dodici Domande», dal quale è stato tratto il film «The Millionnaire» dedicato al genietto dello slum di Mumbai che vince un celebre quiz a premi.
«Il mio più grande desiderio è rimodellare il futuro dell’insegnamento. Non voglio degli esseri che siano soltanto pezzi di ricambio di un grande computer umano» è il leit motiv del professore indiano, che dal 2006 insegna all’Università di New Castle nel Regno Unito.
Oggi la facile disponibilità di internet veloce ha rafforzato le sue convinzioni. Il «buco» può diventare una finestra sul mondo intero. Il prossimo passo sarà creare un laboratorio virtuale, battezzato «School in the Cloud», scuola nella nuvola, che sarà finanziato con il ricco premio.
Utilizzando la «nuvola informatica», il pedagogo intende introdurre in India un nuovo sistema educativo in cui gli allievi imparano e interagiscono con un network di insegnanti on line. E’ ciò che aveva sperimentato con le «nonne inglesi» un po’ di anni fa. Il progetto, chiamato «The Granny Cloud», la nuvola delle nonne, utilizzava delle pensionate che volontariamente dedicavano alcune ore della giornata a parlare in inglese via Skype con bambini disagiati in India.
Intanto, a dare una mano a Mukesh, che sembra davvero il piccolo vagabondo della pellicola di Danny Boyle, è arrivata una giovane donna, Reshma, la «custode» dei quattro computer del chiosco aperto dalle 10 alle 18. Ma il bambino ha già capito intuitivamente come usare i tasti di metallo che fanno muovere il cursore.
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