Aumenta la pratica del lavoro minorile in Iraq, un fenomeno in ascesa che viaggia in parallelo con l‘abbandono scolastico pur non avendo raggiunto il grado minimo di studi. Lo scrive il sito specialistico Asia News.
Le cause sono: guerre, violenze confessionali, Stato islamico e povertà diffusa, motivi che, comuni ad altre realtà, bloccano un Paese che fatica a risollevarsi a 20 anni dall’invasione Usa che ha deposto il raìs Saddam Hussein e innescato una spirale di conflitto e terrore, culminata con l’ascesa jihadista nel 2014.
La paga di un ragazzino sfruttato è l’equivalente di circa tre al giorno che serve per copre a malapena le sue esigenze e quelle della famiglia. Mohanad Jabbar, 14 anni, guadagna circa sei euro al giorno in un negozio della capitale che produce manufatti per l’edilizia. Come il fratello maggiore, egli lavora da quando ha sette anni per contribuire al sostentamento dei parenti.
“Mi piacerebbe studiare e diventare ingegnere – confessa – ma la mia famiglia ha bisogno di me” per sopravvivere. I bambini lavorano fra gli altri come apprendisti meccanici e raccoglitori di rifiuti, nei caffè o nei negozi di parrucchieri, lavano i finestrini delle auto e vendono fazzoletti di carta ai bordi delle strade. “Il lavoro minorile è in costante aumento” ammette Hassan Abdel Saheb, responsabile del dipartimento presso il ministero iracheno del Lavoro e degli affari sociali, a causa di “guerre, conflitti e sfollamenti”. E a dispetto delle possibili ricchezze derivanti dal petrolio, quasi un terzo dei 42 milioni di abitanti vive in condizioni di povertà come emerge dai dati delle Nazioni Unite.
Uno studio del ministero del Lavoro conferma un trend in crescita nelle province settentrionali di Kirkuk e Ninive, così come la stessa Baghdad.
Uno studio di International Rescue Committee (Irc) su 411 famiglie e 265 bambini rivelava a fine 2022 un “picco allarmante” del lavoro minorile, soprattutto nell’area di Mosul devastata dal conflitto. Nella zona, circa il 90% delle famiglie aveva “uno o più bambini lavoratori”. Inoltre, il 75% circa di essi ha ammesso di “lavorare in ruoli informali o pericolosi” come la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti o nell’edilizia.