In occasione della Giornata internazionale della consapevolezza della balbuzie, che si celebra il 22 ottobre in tutto il mondo, Giovanni Muscarà, ex balbuziente, fondatore del Centro Medico Vivavoce e vice-presidente dell’Associazione Vivavoce, invita a puntare con decisione i riflettori su questo disturbo dal profondo impatto sociale, molto più diffuso di quanto si possa percepire: “Basti pensare che nel mondo ne soffre circa l’1,5% della popolazione. Nel nostro Paese la balbuzie interessa circa 1 milione di persone e colpisce 150.000 giovani sotto i 18 anni. L’età di esordio del problema, in media, è intorno ai 33 mesi di vita: nell’88% dei casi regredisce naturalmente entro i 6 anni di età, negli altri casi le manifestazioni sono molto variabili e si presentano in forme differenti in termini di frequenza, durata e tipologia”.
Si tratta di un problema serio, purtroppo molto sottovalutato in relazione alla portata che ha nel vissuto di chi ne soffre, “una fatica che condiziona in ogni istante della propria vita”.
La balbuzie è in qualche modo una involontaria ripetizione dei suoni o il loro prolungamento, che spesso include anche esitazioni, pause o blocchi, udibili o silenti. Le manifestazioni della balbuzie variano da persona a persona e in ogni individuo si presentano in forme differenti.
Un problema che può generare solitudine, difficoltà ad esprimersi come si vorrebbe, con la conseguente autoesclusione: incide sulla quotidianità di chi ne soffre e ne influenza le scelte di vita. Il vissuto di chi balbetta è fatto di frustrazione e vergogna, paura, bassa autostima. Ma anche stati di ansia, stress, imbarazzo che possono a loro volta aumentare la frequenza e l’intensità della balbuzie.
A scuola, a queste esperienze negative, si affianca il rischio di derisione, esclusione sociale, bullismo, come messo in luce da diversi studi sull’argomento. In ambito lavorativo, da alcuni sondaggi è emerso, per esempio, che una donna balbuziente percepisce un salario medio inferiore rispetto a una coetanea che non balbetta.
Tremendo, per un balbuziente, usare la sua condizione come pretesto per far ridere la gente nelle trasmissioni televisive: “Se i bambini sentono un noto personaggio televisivo che deride un balbuziente, si sentono legittimati a deridere un loro compagno che balbetta. Le persone devono essere libere di non essere giudicate per il modo in cui parlano, così come per il loro orientamento sessuale o la loro forma fisica”.
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