Continua ad allungarsi la poco lusinghiera striscia di critiche all’Italia per la scarsità di investimenti in tema di istruzione pubblica. Stavolta a bacchettarla é stata l’Ocse: nel suo rapporto “Going for Growth“, pubblicato il 9 febbraio, l’organizzazione internazionale punta l’indice soprattutto sulla spesa per l’istruzione “scesa ben al di sotto della media” e critica i numerosi cambi, “tre in quattro anni”, al vertice dell’agenzia per la valutazione della scuola, avvicendamenti che – sostiene – possono compromettere l’efficacia della sua azione. Invita a fare di più per migliorare le opportunità dei meno qualificati e, pur prendendo atto degli interventi avviati per potenziare l’istruzione tecnica post secondaria, ritiene che questa debba essere ulteriormente rafforzata.
Quanto detto il 9 febbraio è, in realtà, una posizione in linea con quanto già emerso nel rapporto intermedio ‘Ocse Education at a Glance‘: “quando si guarda all’educazione dopo la scuola – aveva spiegato qualche settimana fa il responsabile dei programmi su innovazione e competenze Ocse, Andreas Schleicher – sono scettico, il legame fra educazione e mondo del lavoro é molto debole”. Tra i consigli dispensati dall’Organizzazione per la cooperazione economica europea oltre a quello di insistere sulla valutazione nella scuola Secondaria, anche il suggerimento di aumentare le tasse universitarie e introdurre un sistema di prestiti d’onore per gli studenti. Ricette “vecchie e fallimentari” sostengono però le associazioni studentesche.
“Come si può affermare – osserva Danilo Lampis, Coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti – che la spesa italiana in istruzione è drasticamente insufficiente e che si devono migliorare le opportunità per i meno qualificati, se poi si dà indicazione di introdurre meccanismi di valutazione meritocratica per gli insegnanti, di appiattire l’istruzione tecnica post-secondaria sul tessuto produttivo attuale, di aumentare le tasse universitarie e di istituire un sistema di prestiti d’onore per finanziare gli studi? Non è questa la strada per una formazione di qualità e aperta a tutti”.
Anche secondo il capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Fabio Rampelli “la verità è che le politiche economiche e quelle per la formazione dei governi di sinistra non sono in grado di rilanciare lo sviluppo, né di offrire un futuro ai nostri ragazzi promuovendo meritocrazia e inclusione sociale”.
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Anche per Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “quanto rilevato dai dati nazionali ed internazionali è frutto di un’escalation di accordi a perdere, tesi al risparmio statale, di cui si sono resi protagonisti anche i sindacati più rappresentativi del settore scuola sottoscrivendo contratti che non tutelavano gli interessi dei lavoratori: basta dire che se quest’anno i fondi destinati al Miglioramento dell’offerta formativa sono stati di appena 642.770.000 euro per le oltre 8.400 scuole italiane, lo si deve a quel CCNL del 13 marzo 2013, all’art. 2, comma 1, che ha più che dimezzato i fondi destinati al Mof tre anni prima, quando erano stati assegnati 1.480 milioni di euro. Operazione ribadita poi questa estate”.
Cauto il commento di Elena Centemero, responsabile scuola e università di Forza Italia, secondo cui investire significa “innanzitutto impiegare in modo efficiente ed efficace i fondi a disposizione. Per farlo – spiega – ribadiamo la necessità di applicare i costi standard, presupposto per liberare nuove risorse, di attuare una vera spending review del bilancio del Ministero e di introdurre seri criteri di rendicontazione delle spese e dei risultati”.
Il Pd, invece, si dice in disaccordo con i dati. “Per la prima volta dopo anni di tagli lineari si ricomincia a investire sulla scuola” sottolinea Simona Malpezzi. “Con il governo Renzi torna il segno ‘più’ davanti alla voce istruzione con un investimento di 3 miliardi per il personale docente, con potenziamento per l’alternanza scuola-lavoro e la formazione insegnanti”.
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