All’interno del report annuale ‘Education at Glance 2022 – Uno sguardo sull’istruzione’, pubblicato il 3 ottobre per raffrontare i livelli d’istruzione in 38 paesi mondiali, tra cui l’Italia, sono presenti almeno due dati su cui vale la pena soffermarsi. Entrambi sono purtroppo desolanti. Il primo riguarda gli stipendi dei nostri insegnanti: non c’è nulla di nuovo, certo, ma fa un certo effetto sapere da un organismo internazionale e super partes che nei Paesi Ocse tra il 2015 e il 2021 la media delle buste paga degli insegnati delle scuole medie con 15 anni di anzianità è aumentata del 6% in termini reali: perché in Italia, sempre secondo l’Ocse, se si considera la crescita del costo della vita, nello stesso periodo l’incremento stipendiale dei docenti è stato pari ad appena l’1%.
In queste condizioni, è inevitabile che gli stipendi dei nostri insegnanti rimangano inferiori a quelli degli altri laureati: sempre guardando ai prof delle medie, a fine anno avranno portato a casa il 27,4% in meno rispetto agli altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria.
Si salvano, scrive sempre l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, gli stipendi reali dei dirigenti scolastici italiani, assai più alti rispetto ai salari degli altri lavoratori con un’istruzione terziaria, ma in linea con la maggior parte dei colleghi capi d’istituto dei Paesi dell’Ocse.
La discrepanza non è sfuggita a Rino Di Meglio, leader della Gilda degli insegnanti: “Con stipendi dei docenti così bassi, e il conseguente scarso riconoscimento sociale di cui ormai gode la categoria, – ha detto il sindacalista – è inevitabile che la professione insegnante, un tempo ambita e rispettata, sia sempre meno attrattiva. Una condizione resa ancora più intollerabile dalle retribuzioni dei dirigenti scolastici che, rispetto a quelle di un lavoratore full time laureato (quindi anche dei docenti ndr), sono più alte del 73 per cento”.
Il gap fa ancora più scalpore se si pensa che nell’Area la distanza media tra i compensi dei ds e quelli dei laureati a tempo pieno si ferma al 31 per cento.
Certamente, aggiungiamo noi, quelle affrontate quotidianamente dai dirigenti scolastici – soprattutto dopo la messa a regime della scuola dell’autonomia – sono incombenze e responsabilità enormi, che portano i presidi a “pagare” in prima persona anche per responsabilità non riconducibili a loro. Come è accaduto con il terremoto dell’Aquila del 2009, che provocò la morte di alcuni studenti del convitto nazionale con il dirigente scolastico finito addirittura in carcere, pur non avendo, come tutti i presidi, alcuna possibilità di incidere direttamente nelle revisioni strutturali e nella manutenzione dell’edificio scolastico diretto.
L’assegnazione ai dirigenti scolastici di stipendi quasi doppi rispetto a quelli degli insegnanti non appare, quindi, un eccesso. Anzi, rispetto alle altre dirigenze pubbliche, quelle che operano nella scuola percepiscono stipendi ampiamente più piccoli. Soprattutto, se riflettiamo sugli altissimi rischi e responsabilità assegnate al dirigente scolastico, decisamente maggiori.
La vera ingiustizia, semmai, è quella che si perpetra nei confronti dei docenti italiani: anche loro, infatti, vengono sottoposti a compiti e incombenze crescenti, svolgono molto spesso attività a supporto senza alcun riconoscimento, né di carriera né economico, e si assumono rischi, lavorando a stretto contatto con bambini e ragazzi, che non di rado possono comportare conseguenze anche per loro di carattere penale. E lo stesso vale per l’altro personale che opera nella scuola, soprattutto per i collaboratori scolastici, che tra i loro compiti hanno quello della sorveglianza dei locali quando gli alunni escono dalle aule.
In Italia, considerando la mole di lavoro svolta a scuola, la vera ingiustizia non riguarda però il compenso dei presidi, che dovrebbero probabilmente percepire stipendi ancora maggiori, ma l’assegnazione di buste paga a docenti e Ata clamorosamente basse.
Il dato Ocse, di quasi il 30% in meno della media dell’Area, è esattamente quello che manca ai nostri docenti: almeno 300-400 euro netti al mese. Quelli che potrebbero arrivare con un incremento sostanzioso della spesa per la scuola rispetto al Prodotto interno lordo. Ma è questa l’altra nota “stonata” della scuola italiana.
Perchè nel 2019, i Paesi dell’Ocse hanno speso in media il 4,9% del loro Pil per le scuole, dalla primaria all’università. Mentre l’Italia per lo stesso scopo, l’Istruzione dei suoi cittadini, ha investito oltre un punto percentuale in meno: appena il 3,8%.
La quantità di soldi che i governi italiani hanno speso sarebbe addirittura in decrescita: il dato relativo al 2018 era infatti del 4,1%.
Ma poiché i numeri variano a seconda del Pil, dei bilanci pubblici e del numero di studenti, l’Ocse ha calcolato anche l’importo totale del finanziamento per studente: i Paesi dell’Ocse, per i vari livelli di istruzione da primario a terziario, spendono in media 11.990 dollari all’anno per studente per gli istituti di istruzione. Nel 2019, l’Italia ha speso meno: 10.902 dollari per studente, soprattutto quello della secondaria (medie e superiori).
Quindi, il dato finale è che per gli “attori” protagonisti delle nostre scuole – studenti e insegnanti – l’Italia si spende meno degli altri Paesi Ocse.
C’è soddisfazione, da parte sindacale, sull’esito dello sciopero del 31 ottobre scorso.Un po’ tutti rilevano…
La scuola non è un luogo rivolto a giovani privilegiati. Anzi, è il luogo per…
Il gup di Palermo Paolo Magro ha condannato a 11 anni e 4 mesi di…
In un istituto di Prato, come in molte scuole italiane, è scattato il divieto di…
Comprendere il funzionamento del cervello umano è essenziale per insegnare a gestire gli errori. La…
I Patti educativi di comunità sono accordi tra scuole, enti locali e realtà territoriali, volti…