Attualità

In Italia si vive a lungo ma non si fanno più figli: in 10 anni -750mila giovani, crollo al Sud. E la scuola soffre

Crolla il numero dei giovani italiani: per via della denatalità crescente, con le coppie del Belpaese ferme ad 1,1 figli testa di media, nell’ultimo decennio la popolazione nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni si è ridotta quasi 750mila unità, che corrisponde a un -5,8%. Nel 2014 avevamo poco più di 12,8 milioni di giovani; nel 2024 il computo si ferma a 12,1 milioni. A pubblicare i dati, il 1° febbraio, è stato l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, a due passi da Venezia. Dati che non fanno altro che confermare quanto si è avvertito nella scuola nell’ultimo lustro, con riduzioni di iscritti oscillanti tra gli 80 mila e i 140 mila studenti in meno l’anno: secondo le previsioni del Messaggeroriprese dalla Tecnica della Scuola, nei prossimi dieci anni si perderanno quasi 1,5 milioni di studenti. Di conseguenza, anche il numero di cattedre subirà un drastico calo, passando dalle attuali 684mila a circa 558mila.

La riduzione di nascite ha riguardato il Centro Italia (-4,9%), il Mezzogiorno, con una riduzione più sensibile, del -14,7%, arrivando all’apice della negatività con ben il -25,4% nella provincia del Sud Sardegna, il l -23,4% a Oristano e il -21,5% a Isernia.

Al Settentrione, invece, il saldo di quasi tutte le regioni è preceduto dal segno più. Le previsioni, tuttavia, non sono affatto rassicuranti, e la denatalità continuerà a fare sentire i suoi effetti negativi in tutto il Paese.

La crisi demografica, che interessa buona parte dei paesi dell’Unione Europea, in Italia assume proporzioni assai preoccupanti.

Tra il 2014 e il 2023, scrive l’Ansa, mentre la Spagna ha visto un -2,8%, altri hanno registrato tendenze opposte: la Francia +0,1%, la Germania +1,7% e i Paesi Bassi addirittura +10,4%. La media nell’Area Euro si attesta sul -1,9%. Dei 747.672 giovani in meno registrati nell’ultimo decennio, 730.756 sono riconducibili al Mezzogiorno e 119.157 si riferiscono al Centro.

Il Nord invece ha ottenuto un buon risultato, in parte ascrivibile alla presenza degli stranieri e alla migrazione dei giovani dal Sud: nel decennio la popolazione giovanile è aumentata di 46.821 unità nel Nordest e di 55.420 nel Nordovest. Delle 107 province monitorate solo 26 hanno registrato un saldo positivo. Spiccano, in particolar modo, i risultati ottenuti a Gorizia (+9,7%), Trieste (+9,8%), Milano (+10,1%) e Bologna (+11,5%).

Ma l’Italia presenta anche altri indicatori negativi sui giovani: il tasso di occupazione, il livello di istruzione tra i più bassi d’Europa e l’abbandono scolastico, problematica significativa soprattutto nelle regioni meridionali, criticità che potrebbero avere ripercussioni gravi sul mondo imprenditoriale.

Per la Cgia “il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è sempre più evidente e richiede scelte politiche urgenti; investendo, in particolare, molte più risorse nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale“.

L’Ufficio studi Cgia di Mestre ha anche effettuato un confronto tra i nati vivi del 1943 e quelli del 2023, e nel pieno della seconda guerra mondiale, le nascite in Italia furono 882.105, più del doppio rispetto alle circa 380mila registrate due anni fa.

“Se nel 1943 – nota l’associazione – l’Italia aveva quasi 14,5 milioni di abitanti in meno rispetto ad oggi, ma registrava al contempo 500mila nascite in più, non possiamo continuare a sostenere che la denatalità degli ultimi anni sia esclusivamente attribuibile alla mancanza di servizi per l’infanzia e all’insufficienza degli aiuti pubblici alle giovani famiglie. Certo, questi aspetti sono rilevanti, ma è altrettanto vero che 80 anni fa, con il Paese in guerra, le condizioni di vita e le prospettive future erano decisamente peggiori rispetto a quelle attuali”.

A conferma di questo concetto, basterebbe ricordare che l’aspettativa di vita in Italia, tra le più alte al mondo, è ben più elevata rispetto a qualche decennio fa, tanto da costringere gli ultimi governi a procrastinare sempre di più l’età pensionabile.

Alessandro Giuliani

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