In Commissione Europea il rapporto TALIS offre un’istantanea della lotta tra docenti e formazione continua, con uno sguardo ravvicinato sul caso italiano rispetto agli obiettivi comunitari.
La formazione continua, per rigor di logica, si regge sulle retoriche – o processi – che caratterizzano l’assunzione, abilitazione ed il reclutamento dei docenti attraverso procedure concorsuali. La formazione iniziale, al fine di ottenere l’abilitazione all’insegnamento presso le scuole, consisteva fino al 2008 nel seguire dei corsi erogati dal SSIS (Scuole proprie per l’abilitazione all’insegnamento), completare un tirocinio della durata di ore 300 e, solo per coloro che avevano conseguito la laurea in Scienze della Formazione Primaria, era presente un percorso indipendente.
Dopo la Riforma Gelmini partono i PAF, programmi formativi a numero chiuso e vengono soppresse le SSIS in funzione di un’ottica di formazione continua, richiamata dalle indicazioni Profumo e Renzi con la “buona scuola”.
Di recente la Commissione europea ha inoltrato una Comunicazione al parlamento europeo in cui si indicano gli obiettivi che l’educazione dovrà raggiungere entro il 2025, nota come On achieving the European Education Area by 2025.
L’obiettivo del dossier è incrociare tre documenti di base, tra cui figurano quello menzionato e il rapporto Eurydice, Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being, basato sulla indagine Talis su docenti e personale impegnato nei livelli scolastici, che offre un utile riferimento per illustrare questa crisi del sistema didattico generale, colpito duramente anche dall’emergenza sanitaria e dalle chiusure repentine degli istituti. Il rapporto TALIS fotografa un’Europa ben lontana dagli obiettivi del 2025.
Il report reso pubblico da TALIS valuta globalmente la scuola, con riferimento alla vita lavorativa degli insegnanti e ai processi di reclutamento, includendo anche elementi con incidenza quali: l’attrattività della professione, la formazione iniziale, lo sviluppo professionale continuo, le condizioni di servizio, le prospettive di carriera, il benessere degli insegnanti.
Dal rapporto emerge un problema complessivo che caratterizza in via più globale il mondo della cultura ed il relativo mercato del lavoro, il quale pare poco attrattivo, povero di investimenti e saturo nel suo complesso.
A tutto ciò si aggiunge il fenomeno del progressivo invecchiamento del personale, che si manifesta in almeno metà dei sistemi europei: quasi il 40% degli insegnanti del livello secondario inferiore ha oltre 50 anni, e meno del 20% ha meno di 35 anni, dati Eurostat. In Italia solo il 6,4% degli insegnanti ha meno di 35 anni, solo la Grecia e il Portogallo sono messe peggio, con il 4,6% e 3,4% rispettivamente. TALIS ha anche condotto uno studio statistico relativo al grado di soddisfazione dei docenti: dietro ai valori di Danimarca, Svezia e realtà nordiche figurano come fanalino di coda Balcani occidentali, Italia e Francia, dove i docenti si sono dichiarati insoddisfatti anche per via del blocco degli stipendi che ha fatto precipitare il settore.
I docenti intervistati per la redazione del programma hanno lamentato anche le prospettive pressoché inesistenti di carriera, piatte e difficilmente perseguibili. I programmi di sviluppo presentano un assetto che, secondo le retoriche europee, è definibile come multilivello, cioè che prevede dei programmi da seguire per la formazione continua relativi al livello di professionalità ed anzianità. In tutti i paesi europei è prevista la partecipazione a corsi per lo sviluppo professionale continuo e per formazione continua. Non si può comunque fare riferimento a un modello unico e trasferibile di sviluppo professionale, perché le tipologie di attività formative sono molto diverse tra paesi e all’interno dello stesso paese di riferimento. La valutazione dell’operato degli insegnanti è offerta sulla base di un “prospetto gerarchico” con riferimento alle autorità locali ed alle metodologie e frequenze di valutazione: in Belgio, Spagna, Italia, Cipro e Francia la percentuale di insegnanti che lavorano in istituti dove sono stati valutati almeno una volta all’anno è molto sotto la media UE di riferimento. Tale fenomeno di fatto non permette di fatto ai docenti di essere valutati per il proprio operato e produttività per promuovere un concreto sviluppo delle competenze secondo un prospetto di formazione continua.
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