Attualità

In Italia una generazione ferma al palo: oltre il 30% dei ragazzi non lavora né studia

Oltre il 30% dei giovani in Italia non lavora né studia: sono i cosiddetti Neet. E’ il drammatico quadro che emerge dall’ultima edizione di ‘Education at a glance 2018′, progetto organizzato dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Ci sono diversi gli elementi che non solo fanno riflettere, ma richiedono degli interventi urgenti da parte delle Istituzioni competenti.

Mancano investimenti

Il primo dato rilevante è che l’Italia investe sempre meno nell’istruzione scolastica: risulta essere, infatti, il Paese con gli insegnanti più anziani e sempre meno pagati: nel 2016, il 58% aveva almeno 50 anni e sempre nel 2016 i loro stipendi corrispondevano al 93% del loro valore rispetto al 2005.

Dal punto di vista degli studenti, abbiamo finalmente raggiunto in ogni Regione la piena scolarizzazione tra i 5 e i 14 anni mentre è disastrosa la situazione dei ventenni. Il 34% dei giovani tra i 25 e i 19 anni non ha, infatti, un lavoro né studia (in particolare parliamo del 28% di uomini e il 40% di donne).

Una generazione di “Neet” (acronimo inglese che significa “not education, employment or training “ferma al palo, senza certezze né programmi per il proprio futuro.

Il confronto con l’Unione Europea

Il dato è ancora più negativo se confrontato con quello della media europea ferma al 16%. Un Paese, il nostro, che non ha fatto molto negli ultimi decenni per invertire la il trend negativo.

Anche il governo in carica non sembra al momento aver dato molta importanza alla formazione, cosi come per la ricerca e la scuola.

Manca in sostanza una vera e propria strategia innovativa in grado di rilanciare, ad esempio la digitalizzazione in tutti i contesti e gli ambiti industriali e del terziario, che richiederebbe un investimento preciso e diretto sulle infrastrutture e sul capitale umano a partire proprio dalle scuole primarie.

Non rimane molto tempo a disposizione per cambiare marcia. Tra 5 o 10 anni sarà forse troppo tardi. Ci sarà bisogno di competenze specifiche e saremo costretti a cercarle altrove.

I due “eserciti”

Da una parte abbiamo quindi eserciti di “Neet” e di “drop out” che provano ad intraprendere corsi di studio universitario senza troppa convinzione e passione e lasciano anzitempo senza aver completato l’iter di studio, investimenti inadeguati nelle infrastrutture, negli strumenti e nella ricerca, ancora scarsa integrazione tra scuola ed impresa.

Dall’altra parte la società attuale e gli individui sono protesi, invece sempre più verso un’automazione spinta delle proprie abitudini e contesti di riferimento: smart lighting, realtà virtuale, realtà aumentata, dispositivi Awareables, sistemi di intelligenza artificiale (google, siri, alexa) sono solo alcuni esempi di nuove tecnologie a disposizione e già in uso sia a livello industriale che di puro consumer che di fatto stanno cambiando le nostre abitudini giornaliere.

Tutto ormai segue la direzione della trasformazione tecnologica e della digitalizzazione di massa.

Serve una forte scossa per evitare di diventare un Paese sempre più povero e non al passo con i tempi.

La scuola deve fare da traino a questa rivoluzione digitale.

Dino Galuppi

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