Una soluzione meno costosa di Quota 100, dunque più vantaggiosa per le casse dello Stato: è quella che lunedì 10 febbraio chiederanno di potare avanti i rappresentanti del Governo ai sindacati, nel corso dell’incontro tecnico programmato sulla flessibilità in uscita dal lavoro.
Il confronto dovrebbe servire a capire quale strada intraprendere dopo che la sperimentazione di Quota 100 si sarà esaurita, a fine 2021 (anche se non è da escludere l’ipotesi di chiudere Quota 100 un anno prima).
Il pacchetto complessivo, ha anticipato Marco Leonardi professore Di Economia politica e tecnico del Governo sul dossier previdenza, dovrà essere meno oneroso di quanto previsto per Quota 100, pari a circa otto miliardi l’anno. Bisognerà capire se si ragiona su quanto stanziato per Quota 100 o quanto speso (la differenza potrebbe aggirarsi sui 6-7 miliardi in tre anni) e se si porterà ad esaurimento la sperimentazione.
“Tra le richieste che i sindacati presenteranno – scrive l’Ansa – ci sarà il pensionamento flessibile a partire dai 62 anni”.
Un problema non da poco rimane quello del finanziamento dell’operazione. Il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli chiede che bastino “20 anni di contributi a fronte di 62 anni di età e sottolinea che l’anno prossimo si esaurirà gran parte della platea che ha il metodo retributivo fino al 2011 e che quindi il costo per lo Stato sarebbe inferiore rispetto alle stime circolate nelle ultime settimane”.
Uno dei nodi più difficili da scogliere rimane quello del calcolo dell’assegno di quiescenza: se il Governo dovesse dare l’assenso per l’uscita a partire dai 62 anni di età (come avviene oggi con Quota 100), il pericolo per i pensionandi è infatti quello di una riduzione eccessiva, per via del metodo di calcolo interamente contributivo. Come avviene oggi con Opzione donna.
“Non c’è disponibilità comunque – confema Ghiselli – a fare uno scambio tra anticipo pensionistico e calcolo dell’intera pensione con il metodo contributivo come accade con Opzione donna”, che porterebbe alla perdita fino “al 30% dell’assegno”.
“Per fare una riforma strutturale il Governo deve postare risorse adeguate – dice il segretario confederale della Uil Domenico Proietti – la legge Fornero ha risparmiato 80 miliardi in dieci anni, una parte di queste risorse deve tornare nel sistema. È una questione di equità”.
Cgil, Cisl e Uil riproporranno la richiesta di uscita per tutti (donne e uomini) con 41 anni di contributi a qualsiasi età ma anche lo stop all’automatismo dell’aumento dell’età di vecchiaia legato alla speranza di vita: nei giorni scorsi l’Inps ha detto che non scatterà prima del 2023, dopo che nel 2021 è stato congelato poiché la speranza di vita è rimasta ferma.
Al tavolo si parlerà anche delle deroghe: i cosiddetti “scivoli”. Sono, ad esempio, le misure sui lavori gravosi e i vantaggi in termini contributivi per chi ha fatto lavoro di cura e assistenza: è in questo quadro che rientra un anno di “bonus” sui versamenti alle donne per ogni figlio (come proposto anche dalla sottosegretaria al Lavoro Francesca Puglisi) e senza vincoli di numero (due anni per due figli, tre anni per tre figli e così via).
Si discuterà anche della necessità di allargare le tutele previste per le categorie protette con l’Ape social, che anticipa di quasi quattro anni il pensionamento e senza quasi alcuna decurtazione.
In questo ambito rientrano i disoccupati e i lavoratori che sono stati a lungo impegnati in attività gravose: una richiesta, quella della collocazione tra le professioni usuranti, che molti docenti gradirebbero non poco, a causa delle alte percentuali di burnout presenti nella categoria.
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