In pensione a 63 anni senza restituire i soldi, in extremis inseriti i docenti della primaria?

Spuntano anche i docenti della primaria, assieme a quelli dell’infanzia, nella lista dei beneficiari dell’anticipo pensionistico senza il vincolo di restituire l’anticipo in 20 anni.

Almeno questo è l’auspicio della Uil, che commentando la proposta dal Governo, in una nota del 23 settembre afferma: “ci stiamo battendo affinché l’Ape sociale sia a costo zero per i disoccupati di lungo corso, per chi svolge lavoro di cura assistendo un familiare disabile e per i lavoratori che svolgono mansioni particolarmente faticose, come operai del settore edile, insegnanti della scuola primaria e d’infanzia, alcune tipologie di infermieri, personale marittimo imbarcato, macchinisti ed autisti. Sull’insieme di queste misure – prosegue il sindacato Confederale – bisogna ancora affrontare qualche criticità, ma la Uil è fiduciosa che il 27 si possa sottoscrivere con il Governo un’intesa con l’obiettivo di arrivare a soluzioni utili per i lavoratori, i pensionati ed il Paese”.

L’accordo è quindi in dirittura d’arrivo. Resta da capire, per chi opera nella scuola, chi potrà beneficiarne, poiché considerato lavoro usurante, senza restituire il prestito attraverso l’assegno di quiescenza per 20 anni. Sino ad oggi si era parlato solo di insegnanti della scuola dell’infanzia. Ora, invece, la richiesta dei sindacati, che non si sa se verrà accolta in extremis, è quella di allargare ai colleghi della scuola primaria.

“La Uil, insieme a Cisl e Cgil, – si legga ancora nella nota – ha lavorato negli ultimi mesi per introdurre importanti modifiche al sistema previdenziale a beneficio dei lavoratori e dei pensionati. Il confronto con il Governo è stato utile ed ha prodotto significative condivisioni sugli interventi da effettuare nella prossima Legge di Stabilità. In particolare occorrerà individuare una soluzione per i lavoratori precoci, rendere non onerose le ricongiunzioni dei periodi contributivi, abolire strutturalmente la penalizzazione per chi va in pensione con 42 anni di contributi ed ha meno di 62 anni di età, semplificare l’accesso alla pensione per chi ha svolto lavori usuranti allargandone le maglie, equiparare la no tax area per tutti i pensionati, estendere la quattordicesima ai pensionati con redditi fino a 1.000 euro”.

I sindacati avevano chiesto 4 anni di anticipo pensionistico. Alla fine si è trovata una mediazione 3 anni e 7 mesi: siccome i lavoratori, a seguito della riforma Fornero, “potranno andare in pensione al compimento di 66 anni e 7 mesi di età”, l’anticipo andrebbe ad aggirare buona parte dell’incremento attuato a seguito dell’ultima riforma pensionistica.

Si tratta di una sperimentazione, che riguarderà solo i nati tra il 1952 e il 1954 (allungando così di un anno la platea dei beneficiari, visto che la prima bozza del provvedimento arrivava al 1953).

Il problema è che l’anticipo sarà pagato con rate di ammortamento sulla pensione. Che nel caso dei docenti si aggirano sui 200 euro al mese per un ventennio. Nel caso il pensionato venisse a mancare prima del termine del ventennio, però la rimanenza non sarebbe a carico degli eredi ma verrebbe coperta dall’assicurazione. Anche questa, tuttavia, sarà sulle spalle di chi ha beneficiato dell’anticipo.

In media, il pensionato si vedrà decurtare il 6% annuo: chi usufruirà dell’intero periodo (tre anni e sette mesi), si vedrà decurtare quindi la pensione di oltre il 20%. Una cifra non certo indifferente.

 

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Alessandro Giuliani

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