Le pensioni dei lavoratori italiani continuano a tenere banco: se l’innalzamento della soglia a 67 anni appare sempre più plausibile, lavoratori e sindacati non si rassegnano.
Anche il primo partito dell’attuale maggioranza parlamentare dà adito a soluzioni alternative, che stemperino l’attuale tendenza. Domenica 13 agosto è stata la volta responsabile economico del Pd Tommaso Nannicini, che in un’intervista al Sole 24 ore ha sì ribadito il no a marce indietro sull’età pensionabile, ma ha anche aperto ad un allargamento delle professioni usuranti.
“Se si parla del sistema retributivo o del misto – ha detto il democratico – quelli che riguardano chi sta per andare in pensione adesso, non ha senso cancellare l’adeguamento per tutti. Ma come ha ricordato anche l’Ocse, non tutti i lavoratori sono uguali. Nella scorsa legge di bilancio sono già stati esclusi i lavori usuranti. Bisogna vedere se ci sono margini per fare ulteriori interventi selettivi“.
I docenti sono sicuramente interessati al discorso, visto che già i maestri della scuola dell’infanzia rientrano nell’Ape social, che permette di lasciare a 63 anni e 7 mesi, e che i sindacati di categoria chiedono in blocco l’allargamento dell’anticipo agevolato a tutti i livelli di insegnamento, considerato stressante e portatore di malattie professionali a prescindere dall’età di alunni chi si hanno di fronte.
Parallelamente alle modifiche sull’accesso al pensionamento, il Governo sta anche operando sui giovani. “E’ giusto partire dal lavoro: un forte sgravio contributivo per i primi anni di impiego che si affianchi all’apprendistato senza spiazzarlo, anzi valorizzandolo laddove l’esigenza formativa è prioritaria”, ha detto ancora Nannicini.
Di pensioni e giovani ha parlato, nello stesso giorno, anche Anna Maria Furlan, segretaria generale della Cisl: intervistata da ‘Il Mattino’, la sindacalista ha risposto alle parole del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, respingendo l’idea di applicare il jobs act al pubblico impiego.
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“Il Presidente Boccia sa bene che le norme del Jobs act non possono essere applicate tout court al pubblico impiego dove abitualmente si accede per concorso. Altra cosa – ha continuato Furlan – è estendere la decontribuzione per i giovani assunti anche al settore pubblico ma con un piano industriale vero per redistribuire meglio il personale e rendere la macchina statale più efficiente, veloce, produttiva. Insomma, il piano e gli incentivi di industria 4.0 andrebbero estesi anche al settore pubblico impiego e non il Jobs Act. Questo è quello che manca oggi nella P.A.”.
Quanto alla staffetta generazionale, Furlan dice che “noi abbiamo visto sempre bene la possibilità della staffetta generazionale che va però inquadrata nel quadro di una rivisitazione della legge pensionistica”.
Intanto, scrive il Corriere della Sera, sarebbe in dirittura d’arrivo l’Ape volontaria a pagamento: “dovrebbe essere questione di giorni, poi il decreto del governo sull’Anticipo pensionistico volontario (Ape), che stabilisce le modalità tecniche per l’uscita, dovrebbe essere pronto. Il testo messo a punto dal ministero del Lavoro è stato modificato tenendo conto delle osservazioni del Consiglio di Stato. Il varo? E’ atteso per fine agosto-inizio settembre in modo da dettare le istruzioni per chi, dopo aver compiuto 63 anni, desiderasse andare via prima dal lavoro. Manca un ultimo tassello: l’eventuale retroattività. Una delle condizioni possibili sarebbe legata a una situazione di necessità da parte di chi richiede l’uscita dal lavoro”.
Il Consiglio di Stato – prosegue il quotidiano – ha indicato come regola, «a domanda dell’interessato, l’efficacia retroattiva della norma, in modo da sterilizzare il ritardo nell’emanazione del regolamento e far beneficiare degli effetti della misura fin dalla data del primo maggio 2017, con conseguente maturazione del diritto alla corresponsione degli arretrati dei ratei dell’anticipazione pensionistica».
Il motivo? Secondo il Consiglio di Stato la facoltà di ottenere l’anticipo dell’assegno previdenziale potrebbe essere legata ad esempio alla perdita del lavoro o all’appartenenza a categorie come i lavoratori precoci.
Due condizioni che, però, ai dipendenti della scuola non dovrebbero interessare.
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