In pensione a 63 anni, siamo alla resa dei conti: in bilico pure le maestre d’infanzia

Sono ore decisive per la decisione finale su quali categorie di lavoratori potranno accedere alla cosiddetta ‘Ape social’ per andare in pensione in anticipo, anche a 63 anni.

Al governo continuano a fare i calcoli per definire la platea di chi potrà avere il ‘reddito ponte’, pagato dallo Stato, che per chi non rientra può arrivare anche superare i 200 euro al mese per 20 anni: una cifra non indifferente.

Tra giovedì 13 e venerdì 14 ottobre è previsto l’ultimo incontro con sindacati e parti sociali, prima del varo della manovra.

Un paio di giorno dopo, il Governo concluderà il progetto di bilancio da inviare a Bruxelles (il draft budgetary plan), anche se poi per l’articolato vero e proprio da mandare alle Camere ci sarà tempo ancora fino al 20, come prevede la nuova legge di Bilancio.

Al momento, sono praticamente sicuri che potranno usufruire del meccanismo dell’Ape gratuitamente solo i disoccupati di lungo corso, i lavoratori disabili o coloro che hanno genitori o figli disabili gravi di cui occuparsi: “più complesso sembra al momento affiancare altre categorie come chiedono i sindacati (si è parlato delle maestre della prima infanzia e degli infermieri di sala operatoria)”. Si tratta, ricordiamo, di professioni considerate particolarmente usuranti. E che quindi “meritano” lo scivolo a costo zero.

Tutto dipenderà, quindi, dai fondi che il Governo riuscirà a reperire. Ad iniziare dall’anticipo dei 900 milioni con cui sarà rifinanziato il Fondo di Garanzia per le Pmi, come annunciato dal premier Matteo Renzi.

In ogni caso, di docenti della primaria non si parla più. A meno che all’ultimo momento i sindacati li facciano rientrare, ma (considerando il fatto che sono in numero più che doppio rispetto alle docenti dell’infanzia) farebbero bene a non illudersi.

 

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Alessandro Giuliani

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