Uno dei motivi dell’alto numero di consensi ricevuti dal M5S e della Lega Nord alle ultime elezioni politiche risiede nella volontà espressa dai due raggruppamenti politici di ridurre il primo possibile gli anni per l’accesso alla pensione. La richiesta è molto sentita in ambito scolastico, dove diverse decine di migliaia di docenti e Ata ultra 60enni sono rimasti “intrappolati” dalla Legge Fornero.
Una posizione ribadita, solo poche ore fa, dal candidato premier “grillino” Luigi Di Maio, che collocato la riforma delle pensioni (portando l’uscita a 65 anziché a 67) in uno dei tre punti ineludibili da attuare per formare un nuovo Governo. C’è chi rilancia come quota di uscita i 63 anni. Lo stesso Matteo Salvini, ricorda in ogni occasione che la legge Fornero va rivista perché un lavoratore non può andare in pensione alle soglie dei 70 anni. A questo proposito, durante la campagna elettorale si è parlato molto di introdurre la quota 100, ovvero la somma tra età anagrafica e contributi versati. Anche un’ala interna al Partito Democratico si è detta favorevole a questa linea.
La domanda che molti si pongono è: ma è davvero realizzabile un progetto di revisione delle attuali norme pensionistiche, legate a doppio filo all’aspettativa di vita e che tra pochi mesi alzeranno la soglia per l’accesso all’assegno di vecchiaia a 67 anni? Ci sono le risorse per finanziarlo? I dubbi sono molti.
Qualche settimana fa Carlo Cottarelli, esperto del Fondo Monetario Internazionale ed ex responsabile della spending review in Italia, ha spiegato che abolire la legge Fornero ci costerebbe “per i primi anni almeno 15 di miliardi l’anno. Bisognerebbe trovare le coperture, ma non è facile”.
Il concetto è stato ribadito in questi giorni: intervenendo a Milano alla presentazione dell’Expo meeting Innov-aging, Cottarelli, oggi direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, ha detto che “le riforme delle pensioni in Italia degli ultimi anni sono state inevitabili per contrastare il fenomeno dell’aging“, ovvero dell’invecchiamento progressivo della popolazione.
Inoltre, ha continuato l’esperto di economia, “le previsioni ufficiali indicano che, per effetto delle passate riforme, la spesa pensionistica resterà più o meno stabile sui livelli attuali fino al 2045, scendendo solo in seguito. Ma, pur non crescendo, la spesa resterà alta e non contribuirà al necessario aggiustamento dei conti pubblici, che graverà quindi su altre voci”.
Insomma, già mantenendo l’attuale riforma vi sarebbero problemi di finanziamento delle pensioni: figuriamoci, se si abbassasse la soglia di accesso.
Il concetto è stato sostenuto da Francesco Merloni, presidente esecutivo della Fondazione Marche: parlando a Milano durante la presentazione di ‘Expo-Meeting Innov-Aging’, in programma dal 21 al 23 giugno ad Ancona, Merloni ha detto che “l’Aging è la nuova sfida che la società contemporanea deve affrontare e, soprattutto, vincere, in termini di individuazione e gestione di un nuovo modello di sviluppo economico”.
Il problema è ben rappresentato dai numeri, davvero impietosi. Nei prossimi 30 anni, il numero di anziani italiani che dovrà essere sostenuto ogni 100 persone in età lavorativa salirà dall’attuale 37 a 62. A determinare l’aumento delle persone ‘a carico’ dei lavoratori c’è anche l’aspettativa di vita: per gli attuali sessantacinquenni è di 20,7 anni, contro i 15,3 anni per chi raggiungeva questa età nel 1980. I dati sono stati presentai in questi giorni, nel corso di un meeting, promosso da Fondazione Marche.
“A seguito dall’aumento dell’età media della popolazione mondiale – hanno spiegato gli organizzatori – la Silver economy è considerata la terza economia più grande al mondo, rappresentando nel 2014 un valore di circa 7 trilioni di dollari che, secondo le stime, raggiungerà i 15 trilioni nel 2020. In Italia, per esempio, si può notare un aumento del reddito medio da pensione più rapido di quello del reddito pro capite italiano a partire dal 2008; la spesa per pensioni è aumentata del 12 per cento tra il 2009 e il 2016, mentre il resto della spesa primaria è aumentato solo di 0,1 punti percentuali. Conseguentemente il rapporto tra spesa per pensioni e altra spesa primaria è salito di oltre 5 punti percentuale tra il 2009 e il 2016″.
Un’ultima annotazione: riguarda l’assegno pensionistico, sempre più ridotto. Per 9 donne su 10 è destinato ad essere inferiore mille euro al mese. Anche in questo caso, la riforma imposta dal governo Monti-Fornero, non aiuta, perché con il passare degli anni l’incidenza del sistema contributivo, meno vantaggioso rispetto al retributivo, farà sempre più scendere l’assegno di quiescenza.
Quindi, si andrà più tardi per percepire una pensione sempre tendente al basso: per intenderci, per l’italiano medio sarà attorno ai mille euro.
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