Pensionamento e previdenza

In pensione a 74 anni con mille euro al mese, pure i giovani docenti rischiano di finire alla Caritas dopo aver lavorato una vita

Un giovane lavoratore per andare in pensione potrebbe aspettare ben oltre i 70 anni, lavorare quindi quasi mezzo secolo e ritrovarsi a gestire la vecchiaia con un assegno non molto superiore a mille euro al mese: la terrificante proiezione è contenuta nella ricerca ‘Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani’, realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani assieme a Eures. I sindacati in questi giorni stanno mettendo in luce i dati emersi dallo studio chiedendo garanzie al Governo, perché si tratta di prospettive che preoccupano molto le nuove generazioni, per le quali si prevede un futuro professionale e personale davvero poco felice.

Cavallaro (Cisal): pensioni da fame, punito chi ha lavorato una vita

“Il futuro pensionistico dei giovani – sostiene Francesco Cavallaro, segretario generale della Cisal – è strettamente legato al lavoro. Serve più lavoro di qualità ed una riforma complessiva del sistema previdenziale che dia dignità a chi ha lavorato una vita e renda meno fosco il futuro delle nuove generazioni”.

Secondo Cavallaro, “il quadro normativo attuale, in tale prospettiva, si mostra inadeguato e ingiustamente punitivo: la tenuta del sistema infatti – continua – implica un blocco del ricambio generazionale: secondo le ultime proiezioni, infatti, coloro che si affacciano oggi sul mondo del lavoro potrebbero andare in pensione a 74 anni, oltretutto con assegni bassissimi. Contratti a termine e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali, non aiutano. E con salari bassi e discontinui le pensioni future, se non si interviene, saranno letteralmente da fame“.

Attualmente nella scuola ad una parte dei docenti, quelli in servizio negli istituti d’infanzia e primaria, hanno la possibilità di lasciare il servizio, se hanno accumulato almeno 35 anni di contributi, a 62-63 senza particolari riduzioni nell’assegno (per poi percepire quello intero a 67 anni) poiché il loro lavoro è stato inserito tra quelli considerati usuranti: in alternativa c’è Opzione Donna (con tagli all’assegno di quiescenza anche superiori al 30%) oppure le varie Quote, tra 100 e 103, che con il passare degli anni si stanno sempre più allungando, con decurtazioni che variano a seconda di ogni situazione previdenziale.

Sbarra (Cisl): serve una pensione contributiva di garanzia

Qualche settimana fa, anche il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, ha chiesto al Governo di “affrontare in maniera prioritaria il tema di una pensione contributiva di garanzia per giovani e donne, incentivare l’adesione alla previdenza complementare, rendere strutturale e allargare l’Ape sociale, contrattare misure di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, allargare il bacino della quattordicesima mensilità, assicurare la piena indicizzazione delle pensioni“.

Sbarra ha aggiunto che in Italia “abbiamo posto al governo da tempo la nostra piattaforma unitaria”, perché “bisogna restituire al sistema pensionistico e previdenziale italiano profili di equità, flessibilità, sostenibilità e stabilità delle regole”.

Anche il sindacato Anief torna a protestare perché, fa sapere, “non si può lavorare una vita, lasciare il lavoro 15 anni dopo la normalità e ritrovarsi tra le mani un assegno di quiescenza abbondantemente sotto il livello ufficiale di povertà”.

“È inaccettabile che un under 35 possa andare in pensione a 75 con un assegno di mille euro – fa notare Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – è un segnale chiaro che il nostro sistema previdenziale così come delineato non regge. Come si può pensare di lavorare per 50 anni, con una tassazione del lavoro e del reddito superiore al 65% e poi rischiare di ritrovarsi alla Caritas una volta in pensione? Da settembre partirà una campagna informativa Anief con incontri, assemblee, simulazioni per far partire la mobilitazione e cambiare la riforma”.

“Riconoscere rischio di burnout a docenti e Ata”

Il sindacato di Pacifico intende chiedere modifiche importanti al sistema previdenziale: “riscatto gratuito anni di formazione universitaria; tetto massimo contributivo a 41 anni (inclusi i periodi di formazione) con il massimo degli assegni; revisione delle aliquote fiscali e retributive; riconoscimento del burnout per il personale scolastico con finestra speciale a causa del lavoro usurante”.

Anief nel frattempo consiglia di chiedere il riscatto degli anni di formazione e universitaria già durante i rapporti di lavoro a tempo determinato e di procedere sicuramente con la pensione complementare Espero, ma anche di avviarne una parallela bancaria: per quest’ultimo servizio, la pensione complementare bancaria, Anief ha attivato la convenzione con Banca Mediolanum.

Particolare attenzione viene prestata per i lavoratori del comparto scuola, quindi docenti e Ata: “c’è un alto rischio di burnout e servono soluzioni concrete per evitare di lasciare il lavoro con patologie che gravano sulle persone e sullo stato sociale”, conclude il presidente Anief.

Alessandro Giuliani

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