Elsa Fornero non è mai stata simpatica ai lavoratori della scuola. Anzi, nel corso degli anni il giudizio negativo nei suoi confronti si è sempre più inasprito. Del resto, la riforma sulle pensioni del 2011, quando era ministra del Lavoro, ha prodotto forti contestazioni – anche dei sindacati – verso la mancata collocazione dei docenti e dei collaboratori scolastici tra le professioni che alla lunga “logorano”. E non compatibili con l’obbligo di lasciare il servizio 67 anni suonati. Nel corso dei successivi dieci anni, la Fornero ha sempre difeso quelle scelte e non ha mai speso una parola per loro.
Ora, con un’intervista rilasciata a La Repubblica, per dire la sua su cosa si potrebbe fare con la fine naturale del modello Quota 100, l’economista conferma la linea intransigente. Lascia solo uno spiraglio, parlando di esigenza di pensare ad “compromesso per evitare un innalzamento troppo brusco dell’età pensionabile per alcuni lavoratori”.
Il riferimento, però, non dovrebbe essere a docenti, amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici: l’anticipo va adottato per chi svolge un’occupazione pesante a livello fisico oppure che prevede turnazioni notturne continue.
Addirittura, l’ex ministra rincara la dose quando il cronista le chiede “cosa pensa della proposta dei sindacati di poter lasciare il lavoro dopo 41 anni di versamenti contributivi indipendentemente dall’età oppure a partire da 62 anni di età con almeno 20 di contributi”.
“Lasciare dopo 41 anni il lavoro – replica Fornero – vuol dire cancellare un decennio, riportare indietro le lancette dell’orologio. Non capisco perché una persona stimabile e ragionevole come Landini possa fare una proposta di questo tipo che non tiene conto delle variabili economiche e demografiche. Il Paese ha bisogno che si lavori di più, non di meno”.
Insomma, oltre al generico “compromesso” post Quota 100 non c’è molto. L’intransigenza dell’ex ministra del Lavoro continua.
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