Non solo le pensioni dei giovani sono destinate a collocarsi vicine alla sociale: anche l’assegno di quiescenza dei lavoratori meno fortunati che oggi hanno tra i 32 e i 57 anni si prevede assai misero. A prevederlo, tra l’altro, non sono i sindacati o le associazioni per denunciare la gravità della situazione: a darne notizia è stato direttamente l’Inps, durante la presentazione del Rapporto annuale, svolta lunedì 11 luglio.
Ipotizzando il futuro previdenziale della generazione che va tra i nati tra il 1965 e il 1980, l’Inps ha prima sottolineato che dovranno lavorare in media tre anni in più rispetto ai più anziani (soprattutto i più giovani). Poi, ha presentato una proiezione sull’assegno pensionistico che non ha bisogno di commenti.
Secondo l’Istituto nazionale di previdenza con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l’ora, un lavoratore dovrebbe arrivare a percepire una pensione a 65 anni di circa 750 euro.
“Se il soggetto percepisse 9 euro l’ora per tutta la vita attiva, si stima che l’importo di pensione si aggiri sui 750 euro mensili (a prezzi correnti), un valore superiore al trattamento minimo, pari a 524 euro al mese per il 2022”, hanno previsto dall’Inps.
E i 750 euro al mese potrebbe essere una somma molto vicina a quello che percepiranno a fine carriera i collaboratori scolastici, ma anche gli amministrativi e i tecnici, che andranno in pensione con il sistema prevalentemente o interamente contributivo, magari avendo iniziato non proprio da giovanissimi e anche alternando il precariato alla disoccupazione.
Certo, è bene che poi ognuno calcoli con esattezza la propria situazione, anche facendosi assistere da un sindacato o da un Caf, però è bene sapere che con le ultime riforme previdenziali si sta andando sempre più verso quella direzione.
Questa possibilità, continua l’Istituto di previdenza, “rappresenta un’alternativa al ricorso a prestazioni assistenziali che vadano ad integrare una pensione frutto di una storia contributiva inadeguata e il cui costo graverebbe principalmente sulle future generazioni di lavoratori, perpetrando la tendenza degli ultimi decenni di attuare politiche poco lungimiranti che tendono a indebitare sempre più le nuove generazioni”.
“Del resto, le prestazioni assistenziali previste attualmente dal nostro ordinamento, come l’assegno sociale e la pensione di cittadinanza, intervengono già in caso di redditi particolarmente bassi”.
Secondo l’Inps i nati nel 1977-1980, oggi quarantenni, che non accedo al regime retributivo, già fanno registrare “un brusco calo nei livelli di copertura e costituiscono pertanto la fascia più critica”. Con la copertura media contributiva dei più giovani pari al 66% (68% uomini 64% donne), corrispondente ad una vita attiva di 9 anni e 11 mesi nei primi 15 anni di vita lavorativa.
Se la tendenza è quella, già oggi, comunque, molti pensionati percepiscono assegni ridotti. Nel 2021 i pensionati con redditi da pensione inferiori a 1.000 euro al mese erano il 32% del totale, pari a circa 5 milioni 120mila persone, dice ancora l’Inps.
Il dato, precisa il Rapporto annuale, considera gli importi lordi maggiorati delle integrazioni al minimo associate alle prestazioni, delle varie forme di Indennità di accompagnamento, della quattordicesima mensilità e delle maggiorazioni sociali associati alle prestazioni.
L’Inps evidenzia che la percentuale di pensionati con reddito inferiore a 12.000 euro è però pari a 40% se si considerano solo gli importi delle prestazioni al lordo dell’imposta personale sul reddito.
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