Dopo tanta attesa, diventano realtà le pensioni sociali Ape: dal 1° maggio ed entro giugno, chi vorrà, se in possesso dei requisiti, potrà presentare domanda.
L’annuncio è arrivato il 20 marzo dal Governo ai sindacati, nel corso dell’incontro tecnico sui decreti attuativi sull’Ape: è stata anche confermata la partenza dello strumento per il primo maggio.
Una richiesta che, ricordiamo, sino a chi percepisce 1.500 euro, non prevede costi per il lavoratore (poi, saranno comunque ridotti).
Il problema è che questo genere di “scivolo”, riguarda un numero ristretto di professioni: per la scuola, ad esempio, le maestre della scuola dell’infanzia.
Per presentare la domanda a giugno, l’Inps ha stabilito che occorrerà essere in possesso dei requisiti da maturare nel 2017. Per il 2018 la data limite di presentazione sarà nel mese di marzo.
L’Ape “social” – che permetterà di lasciare il lavoro anche a 63 anni e sette mesi – potrà essere chiesta in via sperimentale dal primo maggio 2017 al 31 dicembre 2018 da soggetti in condizioni di disagio (disoccupati che abbiano esaurito la disoccupazione da almeno tre mesi, invalidi civili con almeno il 74% di invalidità, dipendenti che svolgono da almeno 6 anni in via continuativa un lavoro gravoso) che abbiano almeno 63 anni di età e 30 anni di anzianità contributiva (36 anni per coloro che svolgono attività difficoltose o rischiose).
Le professionalità che potranno chiedere l’Ape “social” figurano tra gli altri gli operai dell’edilizia, conduttori di gru, conduttori di mezzi pesanti e convogli ferroviari, insegnanti di scuola dell’infanzia, infermieri organizzati in turni. L’indennità, corrisposta per 12 mesi l’anno, è pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione ma non può superare l’importo massimo mensile di 1.500 euro lordi e non è soggetta a rivalutazione.
Praticamente, però, tutte le maestre d’infanzia pensionande che superano i 1.500 euro lordi, rientrando nei parametri d’accesso, andranno in pensione con il reddito “ponte”. Il quale sarà in buona parte a carico dello Stato: il resto lo pagherà il lavoratore che ha beneficiato dell’anticipo. Questo avverrà, però, solo per la quota che supera la soglia.
A fornire l’entità del pagamento da effettuare, era stato l’on. Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro a Montecitorio: “per un’Ape agevolata da 2.000 euro lordi mensili, si applicherà circa l’1% di penalizzazione per ogni anno di anticipo”, aveva detto il democratico,
In termini pratici, quindi,si tratterà di restituire (a partire dalla data di pensionamento dettata dalla riforma Monti-Fornero, quindi dopo i 67 anni) meno di 20 euro mensili l’anno. Per chi beneficerà dei tre anni e 4 mesi massimi consentiti, si tratterà di pagare circa 60 euro. Pari a 750 euro annui. Che per 20 anni fanno 15mila euro.
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L’Ansa rivela anche che i decreti non sono ancora pronti e i sindacati chiedono criteri meno restrittivi sia sulla data limite per le domande sia sulla continuità dei contributi versati per l’Ape per i lavori gravosi: invece degli ultimi sei anni continuativi impegnati in questi lavori (su 36 complessivi), i rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto di neutralizzare gli eventuali periodi di disoccupazione che dovessero essere intervenuti in questi sei anni (come accade spesso per i lavoratori edili).
In generale, i sindacati vorrebbero far venire meno la norma sulla continuità dei contributi negli ultimi sei anni di lavoro prima della richiesta dell’indennità. Il 23 marzo, comunque, è previsto un nuovo appuntamento, sia sulla seconda del confronto sia per sciogliere i nodi ancora aperti.
Secondo alcune stime governative, sono circa 35mila i lavoratori che potrebbero fruire dell’Ape sociale, quella senza costi o con costi minimi per il lavoratore: si prevede una corsa alle richieste. Come annunciato alcuni mesi fa dalla Tecnica della Scuola, sembra invece difficile che l’Ape volontaria possa prendere piede a causa degli alti costi per il lavoratore.
Ricordiamo che per chiedere l’Ape volontaria bisognerà avere almeno 63 anni di età e 20 di contributi e aver maturato un importo di pensione al netto della rata di ammortamento per il rimborso del prestito richiesto pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo.
Il Governo oggi ha confermato il calcolo sulla rata del prestito annunciato nei mesi scorsi pari al 4,5-4,7% per ogni anno di anticipo ma su una media di importo dell’85% della pensione (nel caso di tre anni di anticipo) e solo per 12 mesi (mentre la rata sulla pensione si paga su 13 mesi e per 20 anni).
In pratica, secondo i calcoli diffusi dopo il varo del provvedimento alla fine dell’anno scorso a fronte di un anticipo complessivo per tre anni di circa 39.300 euro se ne restituirebbero in 20 anni oltre 54.000 (208 euro netti di rata al mese su una pensione di 1.286 euro ma per 13 mesi).
Nella scuola, un docente di scuola secondaria a fine carriera, dovrebbe restituire quindi circa 100 euro l’anno. Che per un triennio fanno 300 euro. Quindi, circa 3.500 euro l’anno. Moltiplicati per 20 anni, fanno 70 mila euro.
Il decreto dovrebbe prevedere un tetto di importo per la richiesta di prestito dell’85% nel caso di un anticipo di tre anni rispetto alla pensione di vecchiaia, del 90% nel caso di anticipo di due anni e del 95% nel caso di anticipo di un anno: probabilmente, tra chi alla fine avrà goduto di questo anticipo pensionistico non agevolato, figureranno soprattutto lavoratori ultra 65enni, interessati a fruire solo di un anno o poco più di anticipo per lasciare il lavoro.
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