L’innalzamento dei parametri chiesti dallo Stato per lasciare il mondo del lavoro, che tra pochi mesi porteranno la soglia a 67 anni compiuti, ha lasciato i conti in rosso: dopo la crisi economica, la spesa pensionistica italiana si è infatti addirittura impennata rispetto al Pil, tanto da assorbire gran parte della spesa pubblica. In particolare, per gli altri capitoli di welfare è stato spartito in questi ultimi anni solo quanto rimasto e a farne le spese è stata soprattutto l’istruzione, la cui percentuale di risorse rispetto al Pil è diminuita rispetto agli anni pre-crisi.
Le classifiche europee parlano chiaro
A sottolinearlo, il 13 aprile, è stato Istvan Pal Szekely, direttore degli studi economici della Commissione Ue, nel corso della presentazione a Roma del Country Report 2018 sull’Italia, pubblicato lo scorso 7 marzo.
“Non si tratta di una scelta politica – ha sottolineato il tecnico di Bruxelles – la colpa è di meccanismi preesistenti e di interessi ormai consolidati e difficili da modificare”.
L’effetto negativo, diretto sulla scuola pubblica, è evidente anche nelle classifiche europee: nel livello di istruzione universitaria l’Italia è penultima in Ue, prima della Romania e dopo Croazia e Malta.
Fanno peggio solo l’Irlanda e la Romania
Anche a livello di scuola dell’obbligo e superiore, comunque c’è molto da recuperare. Ad avere investito meno dei governanti della nostra Penisola, in termini percentuali, sono solo due Paesi su quasi 30: l’Irlanda e la Romania. Il primo posto della classifica è della Danimarca (7%), seguita dalla Svezia (6,5%) e dal Belgio (6,4%). In media, nei 28 Paesi dell’Ue la spesa per l’educazione è pari al 4,9% del Prodotto interno lordo, quindi quasi un punto percentuale in più rispetto al Bel Paese.
Lo Stato italiano investe per l’istruzione la metà di quello che dà quello tedesco
A livello assoluto, l’Italia, nel 2015, risulta aver speso complessivamente per le scuole materne, primarie, medie, secondarie, per le università, la formazione non universitaria, sussidi e finanziamenti alla ricerca, 65,1 miliardi di euro. Contro i 119,1 della Francia e soprattutto i 127,3 della Germania (che quindi investe nella formazione dei suoi giovani quasi il doppio).
Secondo un report dell’Istituto di statistica europeo, pubblicato il 30 agosto, con solo il 4% del Pil speso nel 2015, l’Italia su piazza addirittura terz’ultima tra i 28 Paesi europea per quanto destinato all’istruzione.
Al via l’Ape volontaria
La notizia sulla riduzione della spesa per Scuola e Università, giunge all’indomani dell’istituzione dell’Ape volontaria, il prestito finanziario a garanzia pensionistica, grazie all’adesione della prima banca, Intesa Sanpaolo, al finanziamento del prestito che dovrebbe consentire a chi ha più di 63 anni di età e 20 di contributi di ritirarsi dal lavoro grazie a un reddito ponte da restituire al momento del pensionamento con una rata sulla propria pensione nel corso di 20 anni. L’Inps ha fatto sapere che i 20 anni di contributi necessari per ottenere il prestito devono essere maturati in una sola gestione.
In pratica non sarà possibile quindi accedere all’Ape se si hanno ad esempio 18 anni di contributi nella gestione dei dipendenti privati e 18 in quella dei dipendenti pubblici mentre è possibile se si hanno contributi per lavoro dipendente e autonomo cumulati per almeno 20 anni.
I requisiti per chiedere l’Ape volontaria
La platea potenziale (coloro che se volessero potrebbero accedere allo strumento) dovrebbe essere di 300.000 persone per il 2018 e 115.000 per il 2019.
Per chiedere il prestito bisogna avere almeno 63 anni di età (63 anni e cinque mesi dal 2019) ed essere distanti dalla pensione di vecchiaia non più di tre anni e sette mesi. Bisogna avere maturato almeno 20 anni di contributi (in una sola gestione a meno di non aver già fatto e pagato la ricongiunzione) e avere in prospettiva una pensione al netto della rata per la restituzione del prestito di almeno 1,4 volte il trattamento minimo (per il 2018 710,38 euro).
L’Inps comunica il prestito minimo e massimo ottenibile tenendo conto del fatto che non si può superare la richiesta del 75% della pensione in caso di richiesta di durata del reddito ponte superiore a tre anni.
Solo una parte del prestito va ridato indietro in 20 anni
La trattenuta sulla pensione (per 240 rate, 12 l’anno esclusa la tredicesima) tiene conto del capitale, del tasso di interesse, del costo del premio assicurativo contro il rischio di premorienza e del fondo di garanzia e sarà pari a circa il 4,6% della pensione per ogni anno di reddito ponte chiesto. L’incidenza dei costi effettivi (esclusa la restituzione dell’Ape ricevuta) per un prestito di 12 mesi è dell’1,6% circa. E’ riconosciuto un credito di imposta annua nella misura del 50% degli interessi sul finanziamento e dei premi assicurativi per la copertura del rischio di premorienza. L’Ape, essendo nella sostanza un prestito, è esente da tasse e contributi.